XXVI-
Erano parecchi anni che Sr. Colomba abitava nella parte del Palazzo che le aveva donato il Sig. Principe Borghese, né ancora v'aveva fatto alcun ristauro, per cui essendo d'uopo per abitarlo possedere il solo spirito di Povertà e di rassegnazione che ella avea, tutte le educande e le altre poche religiose, ad una ad una, sandavano infermando or di vermi or di costipazione e di altre malattie causate dal vento e dall'umidità che entrava per le finestre, per le porte e per le scissure, si della soffitta e dei muri. Avea essa riparato a queste grosse, con stuoie e con paglia, ma siccome il palazzo sta nel colmo del paese, che è costituito a piramide, resta così esposta alla vigoria di ogni vento, che, inutile le riusciva ogni riparo, ogni altro rimedio. Conoscendosi questo difetto dalle genti degli altri paesi, era motivo per cui i genitori non mandavano le loro figliuole ad apprendervi l'educazione, con dispiacere loro però, consci della santità di che Sr. Colomba faceva risplendere sotto quel tugurio, ve n'erano in quell'epoca che sole dodici educande. Andandola a trovare un giorno il Sig. Giampietro Possenti, ministro allora, e perché, gli disse Sr. Colomba, e perché, Signor Ministro non supplica sua (Eminenza) Eccellenza affine mi restaurasse questo mio Ritiro? In quanto a me, poco m'importa, perché indegna sono affatto di comodi di vita e perché il Signore mi colma di salute, ma per le mie sorelle e figlie che or l'una or l'altra ammalandosi arriverà giorno che s'andranno e mi lasceranno sola senza poter eseguire la Volontà del Signore. Ascoltò ogni cosa il Ministro e la pregò condurlo a veder tutto l'abitato, non avendolo per l'addietro mai veduto, ed osservata ogni cosa: «Oh poverine » disse «patite assai davvero! Vedo che però il ristauro costa più della fabbrica; poiché abbisognerebbero molti mattoni, molta calce, e gran lavoro; qui insomma per risarcire ci vogliono centinaia di scudi, ed il Principe prevedo, non ne farà niente». Lasciollo dire Sr. Colomba e mentr'egli scuoteva la testa in disapprovazione, vedendo l'imposssibilità, via via, gli disse ella, facciamo la supplica che sua Eccellenza ci aiuterà. Allora il Ministro e l'Arciprete che l'accompagnava, burlandola se ne partirono. Piena di fiducia corse, Sr. Colomba sull'istante appié del suo Crocifisso, e supplicandolo assisterla, nel fervore della preghiera udì una voce che le disse:« Chiedi la calce a Petricca di Monteflavio.» S'alzò subito essa e fatta chiamare una donna che senza conoscerla di persona, sapeva essere la sorella di questo Petricca maritata in Moricone, evenutale, la pregò avvisasse il fratello venire a lei. Il giorno dopo, chiesto alla porta da un uomo ignoto, che le disse essere ai di lei comandi, imperò(però) egli era Petricca da lei richiesto. Fatte le sue scuse per averlo incomodato gli chiese un po' di calce, dicendo aver bisogno ristaurare il Ritiro: sarà servita le rispose egli quanta ne comanda? e rispostogli essa, quanta ne credea egli le soggiunse non poterne dare che sei pesi. Sr. Colomba confusa allora: ma non posso pagarlo però, perché son poveretta; ed egli, quasi vergognandosi: ma pare a Vostra Reverenza ch'io mi facessi pagare! Mi raccomandi al Signore ché io son pago anche di troppo, e con tutta garbatezza salutatala, e compromessa di iridarne altra di più quando ne avesse fatta macerare se ne partì. S'andò a ritrovare l'Arciprete e chiestole come voleva fare per riparare il Ritiro, ridendosi ancora della di lei proposizione detta al Ministro, gli rispose essa aver già trovati per carità sei pesi di calce: «Capperi! come avete fatto?» le chiese egli tutto serio, cui raccontata ogni cosa, meno della voce udita mentre pregava, ebbe ben donde stupire: ma soggiunse il trasporto manca, vabbisognano i muli e cavalli, a cui ella: - Chi ha pagato la calce, pagherà ancora per trasporto- e l'Arciprete facendosi un'altra risata la salutò, stimandola però in se e lodandola per la di lei fede. Corsa di nuovo Sr. Colomba al suo Crocifisso, pregò per queste bisogna ancora e udita la solita voce che le indicava le persone a chiamarsi, s'alzò e le ricercò, che venute poi e pregate della carità per amore di Dio, acconsentirono di buon grado, e la calce in giornata fu al Ritiro. Fatta la fossa, fu spenta dalle stesse persone che latrasportarono e Sr. Colomba pensando ai mattoni, nella stessa notte supplicò il Crocifisso, da cui udì dirsi che supplicasse il Sig. Cavaliere Pietro Terzi, che stava in una sua villa tra Palombara e Stazzano. Fatta mattina chiese essa ad un suo fratello le avesse dato un cavallo e l'avesse accompagnata, che portole si diresse subito a questo cavaliere; per istrada però sentiva qualche ripugnanza in chiedere ad un Signore non conosciuto affatto ma fattasi animo, dietro lesempio del Sig Petricca, pure a lei ignoto, entrò, in di lui casa e lo chiese ad una servente. Ricevuta da questa con molta garbatezza, fu presentata al Sig. Cavaliere il quale levandosi il berretto e buttatosi in ginocchio a di lei piedi, esclamò essere quello favore daverlo onorato di visita si preziosa: «Oh Sr. Colomba mia, io dovevo venire a lei, non ella a me, era qualche tempo ch'io desideravo visitarla per comunicarle alcune mie cose!» ma vedendo ella che pur continuava a stare in ginocchio e col berretto in mano, confusa s'inginocchiò essa pure (mi sarebbe piaciuto veder quella bella scena) e continuarono in quella positura a complimentarsi senza fine. Alzatisi finalmente entrarono in una nobile camera e postisi ambedue a sedere, prima volendo dir egli ebbe molto conferirle si di cose di spirito, che di tempo, cui rispondendo ella per quanto sentivasi illustrata, lo soddisfece pienamente. «Dica mo ella» soggiunse poi «avrò ben donde compiacermi, se si tratterrà di prestarle miei servizi» cui dicendo in poche parole aver bisogno di mattoni per ristaurare il suo Ritiro, alzandosi egli in piedi e levandosi di nuovo il berretto, dica pure dica pure, le chiese lieto, quanti le ne abbisognano? Cui rispondendo ella non essere pratica, e saper solo essere grande il bisogno, fu concluso per cinque mila. Mi spiace, dissele ancora, che i miei cavalli stanno parte in Viterbo, e parte in Roma, che se così non fosse, li farei portare io stesso in Moricone; ma ringraziatolo essa di tanta carità lo assicurò che il Signore l'avrebbe pago mercé delle preghiere che avrebbe fatto fare dalle sue sorelle e giovanette e volendo da lui licenziarsi, non permise egli, volendola trattenere secolui per il pranzo, dove ebbero a continuare in devoti discorsi con giubilo scambievole. Nacque da ciò che quel Cavaliere ogni qualvolta vera bisogno di quietare il proprio spirito, poiché era persona religiosissima, com'ognuno avrà concepito, ricorrere a Moricone presso Sr. Colomba, da cui ne ritraeva soddisfazione e guida a ben camminare nella equità inverso suoi suditi e derivò ancora che tenendo egli una pia sorella in Roma, lavvisò ricettare Sr. Colomba di Moricone ogni volta si fosse portata in Roma, come difatti, occorrendo molte volte, fu questa a trovarla da cui fu accetta sempre con amorevolezza. Ritornata al suo Ritiro, fu a trovarla l'Arciprete e chiestole dove fosse andata, gli rispose che al Sig. Cavaliere Terzi per domandargli i mattoni; ridendo esso: « Ma che fa il fornaciaro il Sig. Cavaliere?» le disse, ma palesandogli il buon effetto:_cinque mila ! cinque mila! ripetea l'Arciprete, capperi! Ma che sono molti? Disse Sr. Colomba. Ma non sapete ancora che siano cinque mila mattoni? Si fabbricherebbero un nuovo Ritiro! Ma lodando ambedue il Signore, aggiunse l'Arciprete che abbisognava poi trovare i cavalli per trasporto e gli uomini, poi i muratori, più i denari per pagarli, ed il vitto.. Oh! provvidenza Divina! Partito l'Arciprete con altra risata in sentir Sr. Colomba dire che chi ha cominciato terminerà, andò essa al suo Signore e fatta orazione, udì la stessa voce che le indicò i Moriconesi che doveva chiamare per trasportare coi loro cavalli i mattoni e fattili essa chiamare, che appena conosceva di nome, tutti giubilando facevano a gara in poterla meglio servire, conoscendo essi, bene avrebbero servito a Dio. Riposti i mattoni, che il Signor Cavaliere comprò ad una fornace sotto Palombara, ecco che arrivò il Ministro Possenti per notiziarle, in uno all'Arciprete, che il Sig. Principe Borghese le donava scudi trenta, e mirando tanto materiale già pronto restò stupefatto. Ma élla non soddisfatta disse: -Sig. Ministro, se egli avesse supplicato per cento scudi, cento ne avremmo ottenuti, ma soli trenta ne ha dati, perché trenta solo ne furono chiesti!- Non arrivando il Ministro a conoscere, come avesse essa potuto sapere la quantità di danaro chiesto nella supplica, guardando in silenzio l'Arciprete stupirono. Dati perciò gli opportuni ordini pel ristauro, furono chiamati all'istante i muratori, i quali il giorno dopo diedero principio all'opera loro. Erano già due ore che lavoravano e s'accosta l'ora della colazione ne vessendo cibo alcuno per essi se non col far digiunare le povere ragazze, ecco una sonata di campanello, v'accorre Sr. Colomba e le è pórta una lettera da un uomo, che chiesto se dessa fosse la Superiora, le fece noto anche verbalmente che l'Arciprete di Percile le mandava quelle some pregandola le accettasse per amor di Dio. Lesse la lettera, e non aveva udito che una ripetizione di quanto trovò scritto, e scaricata la cavalcatura ritirarono in due canestri grandi legumi, farro, riso e pasta, carni di maiale, olio e varie altre vettovaglie. Corsero ad ammirar tutte e ringraziando il Signore, scrisse Sr. Colomba una lettera di ringraziamento all'Arciprete di Percile che né anche il nome l'aveva udito mentovare! ne' il paese dove fosse posto: lassicurò per via di lettera che avrebbero pregato par esso il Signore, per la mercede. Fu allestita subito la colazione pei muratori in tempo proprio opportuno e n'ebbe poi fino al termine dei lavori che durarono ben due mesi interi. L'Arciprete Prosseda non aveva che dire, restava stupito, ringraziava il Signore ammirando quanto sia provvido con chi confida in Lui, e prendeva perciò ogni giorno più affetto e zelo pel Sacro Ritiro. Non era a metà il lavoro, quando Sr. Colomba tutta allegra nel Signore senza mai lasciarlo di vista, e cercando di star intimamente raccolta nel mezzo della confusione dei lavori, le fu notificato dai muratori che all'indomani non si lavorava più perché era terminata la calce: ma chi ve l'ha detto, rispose continuate continuate, e non dubitate. Piena di fiducia, ricorre di nuovo al Suo Crocifisso lo supplica, lo scongiura ed implora lintercesione dell'Angiolo suo Custode, ma non ode la voce, ma niuno ascolta, eppure è intimamente sicura del favore. Partirono i muratori a sera, ed essa avvisandoli a venir pure a lavorare nella mattina subito, se ne partirono dandole di spalla e ridendo col pensiero di trovar altrove lavoro. Per tutta la notte pregò essa il fratelluccio suo ad intercedere la Provvidenza, s'alza a prima aurora e mentre con le sue compagne e con le educande stava tutta raccolta nell'orazione mentale, ecco una suonata di campanello, ma forte a guisa di sdegno: v'accorre Sr. Angiola, e scorto col lume un vecchiarello, fu da lui chiesta se dessa fosse Sr. Colomba, che aveva bisogno di calce, raccomandatole non aver potuto dormire tutta notte per una voce che l'andava svegliando coll'eccitarlo a portare calce alla povera Sr. Colomba di Moricone. Interrompendolo nel discorso, che troppo avrebbe prolungato quel vecchiareIlo avvisò Sr. Angiola, la Superiora che andata alla porta sentì tutto da quello facendosi raccontare l intero fatto. « Andai » disse « ieri sera in letto sotto la mia capanna, quando in istato di pigliar sonno sento una voce forte dentro la stessa capanna che mi dice: porta calce alla povera Sr. Colomba che non può fabbricare, mi sveglio, ossia mi scuoto, né udendo più altro, nel riprendere sonno: hai inteso, replicò la voce, porta calce a Sr. Colomba in Moricone: mi scossi di nuovo e stando lungo tempo senza più dormire, nullaltro udivo, tal ché credendo sogno ripigliai sonno; quend'ecco sono ferito nell'orecchio dalla stessa voce ma più forte e dallo stesso detto. Replicando la stessa cosa più volte, disperato per non poter più dormire ho creduto bene caricare intanto il mio somarello di calce e portarvela, e così son venuto a voi per sentire se vero sia che n'abbiate bisogno». Cui rispondendo ella che sì, ma per pura carità, acconsentì il vecchiarello di portarne altra, col petto però che volendola trasportare egli stesso, avesse ella dato a mangiare sì a lui che al somarello, e convenuto di tutto, scaricò intanto la calce che subito spenta per la prontezza del lavoro alla venuta dei muratori, e ripartendo il vecchiarello per riportarne altra, si fece a chiedere di chi fosse stata quella voce, ma non intendevi, gli disse Sr. Colomba, che era l'Angelo tuo Custode che ti chiamava? Sappi ch'io pure tutta notte ho pregato il mio per questo fine, ed il mio accordò col tuo che poi ti chiamava a fare questa carità per amor di Dio. « Oh! vedi, vedi» diceva con semplicità il vecchierello« vedi chi era! Io noni lo ..avrei mai pensato!» e salutandola fu al secondo trasporto della calce dovendo fare breve cammino, tenendo la calcara sotto Moricone, quandunque egli fosse di Monteflavio. Arrivarono intanto i muratori ridendo, e saputa la cosa, e veduta la poca calce già spenta, la prepararono e l'adoprarono, finché arrivato di nuovo, il vecchio scariconne altro ed altro in seguito senza ch'essi interrompessero il loro lavoro. Al terzo trasporto fece colazione il vecchiarello coi muratori ripetendo sempre: vedi, vedi chi mi svegliava! ed al somarello pure fu dato a mangiare; e tanta poi , ne portò quegli che bastò per condurre a termine il restauro. Osservando un giorno Sr. Colomba i lavori, contro il parere dei muratori, e senza saputa del ministro, fece levare molto mattonato nella sala inferiore, e giunto il Sig. Possenti ebbe a lagnarsi con essalei perché ordinasse quel guasto senza bisogno, ed un lavoro più lungo e dispendioso, ma ebbe ben a tacere egli ed i muratori quando si avvidero di parecchie tavole marce ed un trave rotto.. Furono all'istante trovati i legni per carità pure, e rimessi, senza il quale lavoro non sarebbe corso gran tempo, in cui sarebbe avvenuta disgrazia con danno di chi precipitato vi fosse, essendo anche luogo di frequente passo. Terminato il lavoro, restaurate ed imbiancate le camere tutte, fatti i telai e rimessi i vetri alle finestre, fatte le porte alcune nuove altre accomodate (che tutte anche per queste fu trovato per carità e che troppo lungo sarebbe particolarizzare) parea il Ritiro di Sr. Colomba un giardinetto, e lieta essa nel Signore passeggiava e ripasseggiava avanti e indietro parendole perfino veder già raccolte molte monache che ammirassero quanto bello appartamento avesse preparato loro lo Sposo Gesù. Non tardò molto che saputosi il ristauro del Ritiro di Moricone, i genitori cominciassero a mandar le loro figlie come educande, e Sr. Colomba ne era la Maestra di queste. Sr. Teresa e Sr. Angiola facevano poi la scuola alle esterne in altra apposita camera e Barbaruccia Masciovecchi era fra le prime, giunta già all'età di quindici anni e bramosissima sempre di vestir il Sacro abito con professione dei voti, giacché si disse che fin da fanciulla fu vestita da monachella semplicemente. Così i Moriconesi vantavano veder sorto nell'interno delle loro mura un Sacro Ritiro di Vergini, e quel che più conta, fondato da una della loro patria, che tanta santità ed edificazione spandeva all'intero paese, ed ammirazione e santa invidia agli altri circostanti. |