FILPPETTA G-

FILPPETTA G

 
 
 

 
LA PAGINA DI
GIUSEPPE  FILIPPETTA (PEPPE)
 
 
 

     
                      NOTE BIOGRAFICHE
 
 Giuseppe Filippetta, nato a Moricone il 10 febbraio 1890 alle ore 21:35, inizia il suo diario "Memorie di un contadino" così: «Solo oggi, nella mia tarda età, mi accingo a scrivere la mia penata vita, con la mia illetterata penna.
Nacqui il 10 febbraio del 1890, da poveri genitori con molti figli, nel paese di Moncone, nella Sabina romana.
Mio padre aveva una misera beccheria e una decina di capre, il cui latte vendeva alla popolazione del luogo. Essendo io i! primo nato maschio, all'incirca a sette anni, mi mise alla pastura di quelle capre, quindi non mi potè mandare alla scuola elementare, che, allora in paese, era possibile frequentare fino alla terza classe. Passai così tre o quattro anni a pascolare le capre nella macchia, tutti i giorni e con qualsiasi tempo, non  conoscendo quasi la vita civile.
Un giorno, un giovane prete nativo del paese, don Giacomo Nini, aiutante del parroco, istituì una scuola serale privata, forse anche per tirare avanti nei bisogni della sua vita: una scuola che durava sola¬mente tre mesi l'anno, durante la stagione invernale.
Mio padre approfittò di quella occasione per mandarmi a scuola. Cominciai con le aste, come era nell'uso del tempo e, nel secondo in-verno, cominciai a  scrivere qualche cosa......
 
Giuseppe FIlippetta è morto esattamente a 81 anni il 10 febbraio 1981 alle ore 21:35.
Il figlio, Luigi (Giggi) ha fatto pubblicare gli scritti del padre "Verso l'approdo" e "Le memorie di un contadino".
 
CI STO LAVORANDO 

 

                  INDICE                 e         DEPOSITO POESIE

 

 


 

IL RIFUGIO
da VERSO L'APPRODO


Solo aspetto tra le piante in fiore

Nel mio campo la fine della vita,

Poiché m'è quieto ogni vago ardore

Dopo trascorsa la mia età fiorita;

Schivo del mondo il male ed il clamore

Di gente dalla vita scolorita;

E solo qui dimentico le pene,

Poiché dal volgo ogni malanno viene.


Tranquillo mi coltivo gli arboscelli

Nel breve giorno che mi scorre in pace;

E intanto ascolto il canto degli uccelli

Mentre svolgo il lavor lento e tenace:

Usignoli cantano e fringuelli

Or ch'è lontano il cacciator rapace;

Le verdi piante han novelli fiori,

L'aria profuma di sottili odori.

 

Così vivendo dentro la natura

Finché mi resta il filo della vita,

D'altre cose non ho brama né cura,

Solo la dolce pace m'è gradita;

Finché non mi verrà la morte scura

Che sol misera tomba all'uomo addita,

Qui mi ritrovo in umile armonia

Coi sensi miei e la natura mia










 

I MIEI OCCHIALI
da VERSO L'APPRODO


Nelle pagine antiche i miei occhiali

 Sempre malvage leggono le cose

 Per le tribolazioni e per i mali

 Delle genti povere e pietose.


Sempre i potenti guerre e carestie

Han procurato nei tempi passati,

Han sempre tra le futili allegrie

Sanguinosi patiboli innalzati.


E leggo e leggo e il cuore grida ancora

 La sua pietà per gli umili e gli oppressi.

O non verrà della giustizia l'ora?

 O sol per questo vivere potessi !










AGLI ASTRONAUTI
da VERSO L'APPRODO

Voi, che avete l'occhio tanto lungo
e la mente acuta fissa su nel cielo,
Tutto saper volete a punto a punto
Quel ch'è coperto dal segreto velo;

Io dal vostro voler non mi disgiungo,
Le strane cose vostre io non querelo,
Ma credo che l'impresa sarà vana,
Che più si vuoi più il vero s'allontana

Voi volete andare sulla Luna
Con nuovo e mirabile congegno.
Io vi dico: Vi soccorra la fortuna
E il gran Dio del ciel vi dia sostegno!

Ma ricordate che qualche lacuna
Porta sempre con sé l'umano ingegno
E che cagione l'intentata via
D'ottusa uman superbia non vi sia
.









 

CONTRASTO CON LA MORTE
da VERSO L'APPRODO

Morte: Io vengo, è giunta l'ora,
L'ora della tua partenza;
Io ti porto alla dimora
Che mai nessun ristora
Con imparzial sentenza.
E' tempo che io ti prenda
Con questa fredda mano
E dentro un nero velo
Che scende giù dal cielo
Ponga fine al tuo penar.

Peppe: E' vero che ho tanti anni
Passati come vento,
E' vero che gli affanni
M'han consumato e spento.
Pure non voglio ancora,
Non voglio ancor te, Morte;
Nei giorni della sorte
Desidero penar.

Morte: Lascia la tua casetta
Con le tue cose intorno,
il tuo cammino affretta:
Sarà senza ritorno.
Dimentico sarai
D'affanni e di fatiche;
Quiete e pace avrai
Che ti saranno amiche.

Peppe: Via via, Morte impudica!
Abbi pietà d'un misero
Che vita ebbe penata;
Lasciami ancora vivere
Per altri molti dì!
Lasciami agli strazi,
Lasciami alle fatiche,
Lasciami alle cose
Che ancor mi sono amiche!

Morte:  L'estremo tuo passaggio
Con me ti sarà dolce;
Per l'ultimo viaggio
Tu pur la festa avrai,
Con suono di campane
E fiori con ghirlande
E lungo la lenta via
Una folta ed orante compagnia.

Peppe: Dopo misera esistenza
Mi offri tal consolazione:
Vedo che tu sei senza
Umana compassione.
Dovevo avere in vita
Un attimo di gioia:
Lascia che io l'abbia
Ancor prima che muoia.

Morte: Per legge di natura,
La vita aspra e fugace
Donartelo doveva:
Io ti do soltanto pace.
Ecco, io dolcissima
Ti penetro nel cuore,
Nell'assenza purissima
Affogo il tuo dolore;
Tutte le tue fibre
Io ti pervado lieve
Taci per sempre, sciogliti
Al grande nulla come
Si scioglie al sol la neve













 

SE TORNASSE GIOVE
da VERSO L'APPRODO

Come Ovidio mirabile ci canta,

Di già il genere umano si distrusse

Per sete d'oro e come mala pianta

A Deucalione e moglie si ridusse.


Così ancor oggi per l'umana sete

Dell'oro diabolico mai spenta,

Orrendo sul trono dell'Olimpo e Marte,

La cui mente a guerre è sempre intenta.


Se al tempo d'oggi ritornasse, Giove

Onde e diluvi non minaccerebbe:

Sopra il capo dell'uom per ogni dove

Pioggia d'orrido fuoco manderebbe.


Questa mia penna qui non piange o ride,

Sol si rattrista per l'umana sorte:

Che se di Giove il fulmine non stride

Dell'uomo il regno pur avrà la Morte.













 

VECCHIO E STANCO
da VERSO L'APPRODO 

 

Giovin fui di fuoco ed ammirato

Dal sesso gentile; ed i piaceri

Colsi come i fiori in mezzo al prato,

Come more sui bordi dei sentieri.


Or vecchio e senza fiamme nelle vene

Guardo le donne belle e ancor le ammiro,

Però ora mi son fonte di pene,

O sol d'un melanconico sospiro.


Vecchio e stanco son lasciato a parte,

E son canuto e scolorito in viso;

Più non mi giovan la parola e l'arte:

E vedo che.ho perduto il paradiso.






 

PACE E VERITÀ'
da VERSO L'APPRODO
 

Pace e verità vado cercando

In questa terra madre di raggiri,

In cui sì spesso degli onesti il pianto

Sento e i profondi e i fievoli sospiri.


E cerco ognora in ogni luogo e via,

Girando i miei occhi intorno intorno;

Ma dovunque s'acquatta la bugia

Che a pace e verità fa sempre scorno.


E' tempo, dico, che s'è perso l'uso

Di lealtà; ognun corre all'inganno

E la perfidia cova nel cuor chiuso.

Torno a casa e nell'animo m'affanno.

 

Solo lontano trovo l'allegrezza

E sfuggo all'umana cattiveria;

Solo contando sulla mia saggezza

Dell'uom perdono la bestiai miseria.






 

LA MIA PENNA
da VERSO L'APPRODO


Questa mia penna a scrivere è sì usa

Che sulle carte non riposa mai:

A sospingerla verso l'ardua Musa

Sono del mondo il male e i tanti guai.


Per il peso degli anni essa sa bene

L'uso del mondo e il male che governa

Per vie contorte e quel che ne diviene;

E giudica col sole o alla lucerna.


E scrive e scrive contro tanto male

Puteolente come acqua maligna:

Dall'alto al basso il puzzo è tutto uguale,

In alto e in basso nella gente alligna.

 

Ma quando in tanto mal ritrova il bene,

Come a un raggio che in nuvolo risplende,

Nell'inchiostro lascia le sue pene

E quasi come lampada s'accende.

 







 

SAPIENZA DI VECCHIO

da VERSO L'APPRODO


Or che ho la vita di memorie piena,

Fatta esperta e ricca di consiglio,

Tornando indietro sento una gran pena

Che mi fa tenere aperto il ciglio

E con altr'occhio a riveder mi mena

II tempo fuggito e scuro di periglio.


Il mio pensiero non mi da riposo,

Dentro le cose più mi spinge a fondo;

E tutto vedendo prova, ed è doglioso

veder davvero come è fatto il mondo:

Tutto quel che pareva rigoglioso

Ora s'è fatto tristo ovvero immondo.


Beato chi non ha orecchie e lumi,

Che non ha da avere o dare altrui

E con i tempi ignora i malcostumi

E i modi segreti e i sensi bui,


E chi non sa lo stato della barca,

Se naviga col vento o alla deriva,

Se delle cose belle o brutte è carca

E a fondo le porta oppure a riva;


Poiché la vita a un solo porto approda

In cui la morte giustamente sbarca

Ed all'ingiusto taglia e corno e coda

E come giusto l'uguaglia e lo marca.






 

O DONNA MIA
da VERSO L'APPRODO


Le forze son finite, o donna mia 

 II sangue non rinviene alla calura,

L'ora è venuta di malinconia;

All'approdo ci porta la natura.


E come acque di fiume i baci ardenti,

Che furon dolci senza mai misura,

Passarono gettati come ai venti,

Come passò la giovanil ventura.


Ci siamo consumati a poco a poco,

Ci siamo raffreddati fino al gelo,

Non ci riscalda più nemmeno il fuoco,

Sopra di noi si va spegnendo il cielo.


O donna mia davvero datti pace,

Non ti crucciar del bene che hai perduto:

Tutta la vita è un attimo.fugace,

Tutto l'amore passa in un minuto!






 

MATTINO
da VERSO L'APPRODO


Giungo al campo e vedo ogni mattina

L'aurora spuntar rosata e bella,

E la luna che verso il pian s'inchina

E nel cielo sparir l'ultima stella.

Sento il gallo che sveglia la collina,

Dell'usignol la musical favella;

Piano piano la luce il cielo indora

E tutta la campagna intorno infiora.


Sulle colline verdeggianti e apriche

Gli immensi olivi frondosi d'argento

Vengono dalle strade voci amiche,

Si fan vicine in un andare lento:

Nel nuovo giorno risuonano antiche

Come in un mondo nato vecchio e spento

Ma spunta il sole e la vita radiosa

Trionfa nella terra rigogliosa.








 

L'UOMO E L'ORO

da VERSO L'APPRODO


Chi primo fu quel che con scaltro ingegno

Fece dell'oro la vile misura

Dell'uomo? Chi guastò l'umano regno

E l'anima dell'uomo rese impura?


Il male che quel fece si trascina

Lungo i secoli per tutta la terra,

Dovunque e sempre portando rovina

Con lo scempio feroce della guerra.


Oggi l'oro è dio così potente

Che illude l'uomo ad essere sublime

Con la ricchezza; e l'umana gente

Con atroce discordia quindi opprime.

 

Così si scopre l'uom com'è balordo,

Giacché nella vita così breve

Invece dell'amor vuoi disaccordo:

E l'infelicità nel cuor riceve.





 

L'ADDIO DEL CONTADINO
da VERSO L'APPRODO


Addio terra del mio breve campo,

Ulivi sereni, simboli di pace!

La vita con voi mi fu quasi un lampo.

Addio podere docile e ferace!

Addio viti pieghevoli allo stampo

Del mio gesto su tralcio non fallace!

Addio peschi fruttiferi e cerasi!

Dolce fu il tempo che con voi rimasi.


Lasciar vi devo al novero degli anni

Onde m'appresto all'ultimo confine;

Ma sento nel lasciarvi forti affanni.

E se si dice che la morte è fine

Della vita e di pene e di malanni,

Pure è vero che su queste colline

Mai più vedrò volar gli aerei vanni

Degli uccelli e sbocciar leggiadri fiori,

Non gusterò dei frutti ebbro i sapori.


Da voi seppure non starò lontano

Non avrò più mai consolazione;

Starò sotterra e allor mi sarà vano

Ogni cipresso all'ultima magione;

Ben mi sarebbe ai sensi più umano

Sapermi seppellito a mia ragione

Tra le vostre tenere radici,

Sotto le ombre alfm ristoratrici.









 

IL SOGNO DELL'UOMO
da VERSO L'APPRODO


Vive l'uomo di sogni e di speranza,

Si sforza di salir l'acuta cima

Con ogni mezzo e sulla china avanza

Per poterla occupar degli altri prima.


Non ferma il piede al giusto suo confine,

Ma tra dirupi va, si rompe il collo,

Lascia brandelli e sangue sulle spine,

Tutto s'ingoia e non è mai satollo.


Volge l'ingegno sopraffino al male

 Ed alle ruberie senza vergogna,

Per suo misero bene gli altri assale,

Avvolge l'onestà nella menzogna,


Finché raggiunge il punto di sua fine,

Finché gli anni non gli danno peso.

Sfinito dalla lunga strada infine,

Spento di brame e da fatiche offeso,


Allor si volge all'aspro suo pensiero,

Riflette e dice: Tutto è stato nulla!

A me davanti c'è un cipresso nero,

Quel che ho fatto a me dietro ora s'annulla!