SCUOLA E EDUCAZIONE-

SCUOLA E EDUCAZIONE

     Luigi Filippetta

   SCUOLA E EDUCAZIONE   +  considerazione di Pierluigi.

    SCUOLA E EDUCAZIONE  

                

   Da decenni la nostra scuola  è sottoposta a sollecitazioni perniciose, che non riguardano solo le risorse, l’efficienza, la sicurezza delle sue strutture, ma soprattutto l’incertezza e l’offuscamento della sua azione educativa.

  Non è bastato l’allarme per l’analfabetismo di ritorno lanciato e dimostrato con circostanziati studi dal linguista Tullio De Mauro.

   Ora ne  parlano in una loro allarmata lettera aperta ben seicento professori universitari. Una denuncia netta, chiara, precisa, che stronca implicitamente una convulsa successione di riforme negli ultimi decenni, compresa l’ultima, quella della cosiddetta “Buona scuola”, che è una delle peggiori riforme, peggiore di quelle di destra.  Ogni governo ha voluto il suo intervento riformatore per metterci il suo marchio politico, invece che lasciare svolgere e maturare la scuola nella  continuità delle esperienze di coloro che vi operano e che ne conoscono e ne studiano i problemi.

   Non se ne può più delle riforme della scuola. Evidentemente non ne possono più neanche i professori universitari. Per coscienza civile.  Per amore della cultura. Per dovere verso la nostra comunità, soprattutto per senso di responsabilità verso il futuro delle nuove generazioni.

   Le nostre classi dirigenti si pavoneggiano dei nostri “cervelli in fuga” come se questi fossero esclusivamente il risultato della pretesa alta qualità della nostra scuola. Ma almeno una parte di quelli, sicuramente per loro stessa natura, sarebbero diventati dei “cervelli” ugualmente, anche con una cattiva scuola! Infatti da quale scuola sono usciti “cervelli” come  Croce (non laureato) come G. Marconi (non laureato) come T.A.Edison (autodidatta) come B. Franklin (autodidatta), come Grazia Deledda (autodidatta), come Jack London (autodidatta) ecc. ecc. ? (se ne potrebbero citare centinaia).

   Si pavoneggiano per la “fuga dei cervelli”, che, secondo loro, testimonierebbe la bontà della nostra scuola.  Dovrebbero invece pensare a rifondare la scuola. Basterebbe che la politica avesse  un po’ di senso della misura per tirarsene fuori. Assieme ai  sindacati.  Per ridare dignità e autorità agli insegnanti e conseguentemente alla scuola. Perché la scuola di per sé non esiste, né come locali in cui si insegna, né come edificio con le sue specifiche funzioni, né come istituzione. La scuola esiste e consiste negli insegnanti, nella loro funzione educativa svolta in favore delle nuove generazioni.

   La scuola esiste nella dignità e nell’autorità degli  insegnanti come educatori, precipuamente come concretezza  operativa nelle dimensioni affettive, emotive, morali del rapporto maestro-scolaro e non molto nelle dimensioni del  rapporto insegnamento- apprendimento. Da decenni si vuol dare la preminenza all’insegnamento e trascurare il rapporto educativo. Più si dà rilievo all’insegnamento e si trascura il rapporto educativo, più la scuola perde la sua effettiva identità.

  Nella convulsa successione delle riforme, hanno sempre più valorizzato l’insegnamento e trascurato sempre più il rapporto educativo. Conseguentemente c’è stata una corsa alla demolizione della dignità e dell’autorità degli insegnanti, Una demolizione perseguita pervicacemente da tutte le riforme più o meno recenti, come obiettivo chiaro e determinato.

   Hanno prima degradato gli insegnanti a lavoratori della scuola, come dire a lavoratori di una fabbrica dove si producano barattoli e turaccioli; dove, stabilito il modello di produzione, conta la quantità del prodotto, in un processo in cui è possibile sempre correggere gli errori di produzione e recuperare col materiale la qualità del prodotto stesso. Ma lo sanno tutti che la funzione dell’insegnante non è un mestiere svolto in fabbrica o in ufficio, e che un errore educativo, quello degli insegnanti, è irrecuperabile, perché danneggia per sempre la personalità dell’educando.

   Non è bastato. Hanno dichiarato la supremazia della famiglia nel rapporto con la scuola. Ed hanno messo in contrapposizione i genitori con gli insegnanti; hanno sottoposto gli insegnanti al controllo delle famiglie, demolendo negli alunni quel senso di affezione, di punto riferimento e di orientamento verso l’insegnante, che consente la costruzione dell’autorità del maestro e della scuola nella loro coscienza.

   Non è bastato. Hanno dichiarato di fatto intoccabili, non vigilabili, gli alunni, intesi questi non più educandi, ma quasi controparte dei loro insegnanti, cui è impedito ogni intervento, anche se un alunno è sporco, abbia la rogna,  usi il proprio telefonino a scuola a danno dell’andamento scolastico e dello stesso insegnante.

  Riforme nocive per la scuola e l’educazione.  Non solo perché troppe, in quanto tali. Ma perché mortificanti dell’autentica funzione dell’insegnante, cioè della funzione educativa. Distruttive dell’autorità dell’insegnante. Distruttive della dimensione pedagogica della scuola, con la supervalutazione della funzione didattica, quindi distruttive della funzione educativa con la supervalutazione della funzione dell’insegnamento.

   Non si tratta più di riformare la scuola, ma di ricostruirla, di ristrutturarla dalle fondamenta, sulla base della rivalutazione del rapporto maestro-scolaro, con la restaurazione fondamentale dell’autorità dell’insegnante, di fronte alle famiglie e soprattutto di fronte ad ogni alunno e studente.

  Dispero che lo chiedano gli invadenti sindacati e, men che meno, che lo vogliano i politici.

                                                                                 Luigi Filippetta

                                                                   (Direttore Didattico in pensione)
Caro Giggi
ti rammento ciò che circa dieci anni or sono ti scrissi.

                A Giggi 
                     dic. ’07 
   
  Me chiedo, Gì, pé chi mai scrivemo! 
 ‘Ste cose che annamo predicanno, 
 nun fanno breccia come fa Sanremo! 
 Da quant’è che se dicheno? Che anno? 
 Ce saremmo dovut’esse stufati,
 a ripete ‘ste cose pé la gente, 
 pé “la folla”, come tu l’hai chiamati; 
 puro si a questi nun je frega gnente!
 Ovinio mio, che pòra gente semo! 
 Perdemo tempo, penna, carta e fiato 
 in più, c’è rischio de passà pé scemo! 
 Ma ciascheduno, poi, imperturbato 
 continua èsse parte d’un racemo, 
 che vò èsse sempre più “teleguidato”!    
                                                 Pierluigi