QUESTIONI DI SCUOLA 2-
ANCORA QUESTIONI DI SCUOLA
Non dico che quello della scuola debba essere uno spazio consacrato. La consacrazione compete solo a luoghi religiosi. Ma quello della scuola dovrebbe essere un luogo di rispetto, perché destinato a una funzione carica di significati simbolici e pratici in quanto volta all’educazione delle nuove generazioni. Dovrebbe essere almeno un luogo di rispetto, come lo sono, o dovrebbero esserlo, il Parlamento, il Senato, le aule di giustizia e i luoghi destinati a funzioni di alto significato civile e sociale. Così fu per la scuola fino ai malfattiani Decreti Delegati del ’74. Poi per un voluto malinteso democraticismo, la scuola divenne uno spazio pubblico sempre più penetrato da interessi e attività che sembra abbiano solo qualche lontana parentela con la sua funzione propria, cioè con la funzione educativa. Si è voluto che essa fosse spazio aperto alla famiglia, alla società, al lavoro, agli esperti di questa o quella attività comunque svolta e pretestuosamente dichiarata educativa. E vi si è buttato dentro di tutto: la socializzazione con le gite sotto la spinta di interessi variamente economici, l’educazione all’ambiente, quella alla sicurezza, l’educazione stradale, quella contro la droga, quella contro il bullismo, ecc. ecc. Nella pratica, tutte didattiche particolari, soprattutto superficiali, verbalistiche, nozionistiche, in corrispondenza quasi sempre di interessi particolari, non ultimi quelli politici. Sempre dimenticando l’unità dell’educazione in relazione all’unità psicologica dell’alunno non meno che all’unità del sapere. Volutamente. Perché si è voluto dimenticare la pedagogia, che ha sempre raccomandato l’unità del sapere, l’unità delle finalità educative in riferimento all’unità della persona dell’educando. Già, ma gli interessi sono particolari. E particolaristici. Tali che non sarebbero mai potuti entrare nella scuola se l’unità educativa fosse stata sempre assicurata e comunque perseguita. Si è voluto indebolire, depotenziare la scuola del popolo con piena coscienza. Non da ora. E non ci si vuole mettere riparo, almeno per ora, neanche con la cosiddetta “Buona scuola”, di cui si può sottolineare almeno la dimensione retorica. Non ci si vuol mettere riparo almeno sino a quando si vorrà permettere il lassismo nei comportamenti scolastici, col ristabilire l’autorità dell’educatore nei confronti dell’educando prima di tutto, ed anche nei confronti della famiglia e della società, di cui la scuola è espressione. I telefonini e altri simili apparecchi non sono armi personali, ma possono fare del male non meno di quelle, se usati da mani irresponsabili o con intenti non corretti. Inutile dire che non dovrebbero entrare dentro la scuola, che non è un luogo consacrato, è vero, ma certamente un luogo di rispetto, un luogo in cui va affermata l’autorità della scuola che è soprattutto autorità dell’educatore, che invece è sicuramente minata o almeno disturbata anche dal telefonino. Nel rapporto educativo maestro-scolaro l’autorità della scuola, cioè dell’educatore, deve essere indiscutibile. Oggi invece viene messa sempre più in discussione. E se ciò avviene è solo perché oggi nella scuola non c’è più pedagogia, che è stata estromessa causando nella scuola una confusione di ruoli, di metodi, di risultati e di finalità educative. Occorrerebbe rifondare la scuola, restituendo ad essa la pedagogia, che contraddistingue la specificità della scuola, soprattutto rifondando l’autorità del maestro, magari con la selezione dei migliori. Ma non penso che ciò possa accadere nel tempo di una nuova selezione di classe (quella economica) in prospettiva di una nuova strutturazione sociale e politica alla luce di un darwinismo sociale crudele e perverso. Non penso che tale rifondazione possa accadere nel nostro tempo in cui si persegue quello che papa Franceasco chiama “cultura dello scarto”. Dello scarto umano e sociale, s’intende. Che è quanto di più aberrante a confronto con l’educazione e con lo spirito della scuola. Luigi Filippetta
(Direttore Didattico in pensione) |