Come facèmmo18-
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BUSCARÉLLI (NASCONDINO) Cari Radiomanzo ascoltatori, buona sera. Eccoci di nuovo insieme dopo una lunga pausa, fin troppo lunga non per causa nostra. Prima della pausa, stavamo parlando dei giochi che facevamo. Mi pare che lultima volta che ci siamo sentiti, avevamo stabilito di proseguire con il gioco del nascondino (buscarélli). Anche quando si giocava a buscarélli, si davano i partiti che normalmente erano due o tre solamnete e cioè a chi nzegna (a chi indica i nascosti/e), a chi non conta forte (ad alta voce) e a chi fa a cavalletta. Il gioco credo sia universale e forse solo i ragazzi di oggi non lo conoscono; è aperto a quante persone si vuole: da due a
dipende dallo spazio e dal tempo disponibile. Sì perché oltre i venti ragazzi, una mano durerebbe troppo tempo. Fatta la conta e scelto chi deve sta sotto, come accecato (bendato per dir meglio) comincia a contare, tutti gli altri corrono per cercarsi un nascondiglio, se vau a bbuscà. È ovvio che la conta dura in base ai giocatori: se pochi si conta almeno fino a venti, mano mano che aumentano i giocatori, si allunga il conteggio che può arrivare anche a cento. Mi ricordo che quando cerano i cosidetti romani ( i figli dei moriconesi che stavano a Roma), come Gastone, Giorgetto, Marsiglia, Fedele, Sandro, Marina, Evandra e via discorrendo, che venivano lestate, loro dicevano che si doveva contare dieci per giocatore, cioè sei, sessanta; dieci, cento; dodici, centoventi; ma noi non lo facevamo. Ho parlato di bendarsi, ma è un eufemismo, ci si tappano gli occhi con le mani, stando girati verso un muro, una porta o un albero. Insomma assomiglia a tana libera tutti, con la differenza che non ci sono prigionieri e come a tana, se chi sta sotto allontanandosi dalla postazione, viene scavalcato o sorpreso da uno dei nascosti, deve nuovamente accecarsi e ricontare, mentre tutti i ritrovati tornano a nascondersi. Finita la mano, si ricomincia e si mette sotto il primo che è stato ritrovato. Noi, inizialmente, prima che fossimo invasi da persone che parlano ciovile dicevamo tocca e non tana; forse reminescenza di un altro gioco che in altre parti, mipare, dicano ce lhai o come a Roma acchiappar ella ma per noi era tocca o cchiappa (acchiappa, prendi). Era come a buscarélli ma chi stava sotto, contando, vedeva chi andava a nascondersi. Finito il conteggio, diceva via o fattu e tutti si bloccavano dove si trovavano; chi stava sotto doveva prendere gli altri, veramente bastava che toccasse il fuggitivo e quello si bloccava; da quel momento, sinvertivano i ruoli e sotto ci andava quello che era stato raggiunto. Nel momento che si toccava, si urlava tocca!. Il gioco terminava quando tutti erano stati toccati e lultimo ricominciava la conta. E qui, tanto per non perderci labitudine, ci va una delle poesie sui giochi, anche se questa non descrive il gioco, ma una situazione, un momento del gioco. QUANNO GIOCHÈMMO A BUSCARÉLLI - Elì, non fa u scardèlla! Tocca a tte, no Renato!- Che vó, che sgargamèlla? Fa sembre lavvocato! -Non pozzo vedé o stórtu! Quanno tu non ci stane, pe nui è un confórtu e ce revanza o pane!- «Sendi, lassalu perde che quissu ce vè apposta: a casa stau ar verde, ecco remedia a crosta!» - O saccio, vè a giocane co nui a buscarelli, cucì se rrubba o pane a quillari monelli. Io, quanno scardèlla, nonu pôzzo vedene: fa sembre a copoccélla
lócchi nì cchiude bene
Eppó bastasse quèsso: fa pure u prepotende, te fa passà da fesso e vo fa u commannende!- Spero che a qualcuno sia uscito qualche sospiro, ripensando a quando si facevano questi giochi, che andrebbero rispolverati, se non altro per togliere per qualche mezzora, i bambini dallincantesimo dei giochi elettronici. Grazie per lascolto e a risentirci alla prossima. Buona notte a tutti. |