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NDUVINA CHE È a SARDA LA QUAJA E ed a PPÈ Un altro gioco, dove si usava il termine Morè e non zo più fij mei era NDUVINA CHE È . Spieghiamo ancora una volta cosè una MAZZAROCCA. LA MAZZAROCCA è costituita da un fazzoletto, abbastanza grande (meglio ancora se fosse una sparra) piegato trasversalmente da formare due triangoli sovrapposti; si prende lapice (il pizzo) del triangolo superiore e si arrotola verso la base lasciando così scoperto il triangolo posteriore; arrivati alla base, si prendono gli estremi riunendoli in un nodo. Questa è la mazzarocca. Difatti, gli estremi rimasi liberi diventeranno i manici di una specie di mazza flessibile A questo gioco però le mazzarocche non venivano prolungate con la cintola. Al gioco, potevano partecipare tutti, bambine e bambini da 5 a ,,, 99 anni e minimo due giocatori. Si determinava chi fosse il Mastro che doveva tenere banco; qua non usiamo il termine sta sotto, perché chi veniva sorteggiato dirigeva e non pagava pegno, cioè non prendeva mazzaroccate, in quanto era il supervisore. Ci si metteva in cerchio attorno al Mastro/a che teneva la mazzarocca da parte del manico, mentre linterrogato la teneva dalla parte del nodo. Il Mastro dava un indicazione di quello che si doveva indovinare e linterrogato poteva fare tre domande. Se indovinava, diventava Mastro, altrimenti lasciava il nodo ed il Mastro dava il colpo di avvio, seguito da quanti potevano arrivare a colpire il malcapitato o la malcapitata a meno ché il Mastro non pronunciasse morè, morè; però poteva ripensarci e dire non zo più fij mei , al che si riprendeva a picchiare. Normalmente le domande venivano riferite alle piante e si cominciava dicendo: Conoscio na pianda jarda, jarda, jiarda che quanno piove mencu te ce repari
, oppure conoscio na pianta che va strisciuni strisciuni e fa certi frutti curti curti
. E lì, le domande più strane e le risposte più spiritose
. Ci si divertiva con poco. Come quando si giocava a Sarda la quaja. Per questo gioco, non serviva altro che un tratto di terreno libero e percorribile. I giocatori, si mettevano disposti in gruppo ed uno si distanziava di qualche metro e si metteva curvo, tenendosi con le mani le gambe, con un fianco rivolto verso il gruppo, in modo ch la schiena resti quasi orizzontale; allora, partiva un secondo giocatore che, prendendo la rincorsa, poggiava le mani sulla schiena del giocatore curvo e lo sltava, fermandosi a poco più in la prendendo la posizione dellaltro; partiva il terzo e faceva la stessa pantomima e così via fino allultimo; si raddrizzava il primo e partiva per saltare anche lui e la cosa continuava finché non ci si stancava. A ppè, era un gioco statico e poco intrigante. Il nome è onomatopeico, visto che se soffiando e pronunciando appunto ppè, laria esce con più forza. Normalmente si giocava a due a due ma potevano essere anche cinque o sei giocatori. Per giocare a ppè occorrevano bottoni o (più recentemente) figurine, qualcuno che aveva più fiato, lo faceva con i tappi delle gassose. Il gioco consisteva nel posare un bottone sul tavolo o su qualcosa di rialzato che soffiandoci sotto, bisognava farlo rigirare. Chi riusciva nellimpresa si impossessava del bottone. GIOCHEMO A PPÈ -Io me levo da stu tavulinu, che non tengo più un bottone pe ffà a ppè- «Lèvatelu da sotto u cindurinu se tu non te u bottó, dda retta amme.» -Tu ne tè tandi e prestamene tre, che quanno véngio ti redajo tutti- «Chiedili a Mberto: dei buttuni è Re!» - E quissu me da sembre quilli rutti
- «È viro Mbè quello che dice Agustu?» Ma tu sta a crede a ssù buciardella? Mi redaésse, ce rerrembio un fustu! Ma quissu quilli boni i dà a sorella che ogni tundu se reggiusta un bustu perché cóu sartu ce fa cummunèlla! Grazie per l’ascolto e a risentirci alla prossima. Buona notte a tutti. |