Come facevamo9-

Come facevamo9

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COME FACÈMMO  IX  parte

  Buona sera a tutti

 come facevamo…  nona parte   LA MOLITURA 
Torniamo alle olive raccolte, poiché è bene che vengano molite subito, altrimenti l’acidità supererà la soglia consentita (1g di acido oleico su 100g di olio) ed addio DOP per l’extravergine! E torniamo ai tempi passati che una volta riportate le olive, venivano accuratamente pulite con i crivelli e gli scifi e si ammucchiavano.                                   
 Quando ero bambino io così facevano; in seguito, con l’avvento delle macchinette,  siccome le foglie erano molte di più (ed anche le olive), i crivelli vennero modificati e furono costruiti in modo che le drupe scorressero verso il basso su delle grate a fessure   verticali cosicché le foglie cadessero in terra e le olive cadevano dentro le cassette.    Poi  le cassette o sporte furono sostituite da quelle di plastica; questo sistema, in linea di massima, è rimasto uguale. Normalmente erano ammucchiate nelle cantine. Poi, quando dal mucchio cominciava a scorrere l’acquaforte, veniva “calata” e portata al frantoio; alla faccia dell’acidità! E se tu avessi chiamato i frantoiani, non sarebbero venuti se dal mucchio non cominciava a fuori uscire il liquido. Gli operai del frantoio venivano con i loro sacchi bisunti, reinsaccavano le olive e la portavano a macinare; fintanto che non si sono cominciate ad usare le cassette.
Una volta al frantoio, venivano macinate da mole di pietra e la poltiglia veniva raccolta in contenitori per essere “ nfisculata “ cioè porre la pasta dentro i “fisculi”, fiscoli,per essere pressata. Per chi non sapesse cos’è il fiscolo è bene sapere che è composto da due teli di rete a cerchio con un buco al centro e saldati tra di loro nel bordo esterno in modo da formare un contenitore, riempibile dal foro interno; esso è composto da cordicella di cocco (o altro materiale).  Oggi, questa operazione è pressoché inesistente, dal momento che la pressatura non avviene più visto che il liquido da inviare ai separatori viene estratto centrifugando la pasta. Negli impianti che usano ancora le presse, l’operazione alla preparazione della composta per la pressatura, avviene automaticamente ed il fiscolo è sostituito da un diaframma di materiale sintetico. Non vorrei essere monotono, né saccente ma è bene sapere che il filtro (il fiscolo o il diaframma) interposti tra due piastre di acciaio, è di un’importanza fondamentale per la pressatura uniforme. Ma andiamo per ordine, Le drupe venivano gettate direttamente dentro la molazza o se il frantoio si trovava più basso del deposito, nella “tramoggena”, la tramoggia, per essere frante; e già vedere “le vaga” d’oliva che sembrava volessero lottare per essere macinate era uno spettacolo; spettacolo che si ripete nella  tramoggia tutt’ora. E vi pare che non ho una poesia per questo lavoro?
Dal 1962 che l’ho fatto. Eccola:
       ‘A brubbruja[1]
            1962
Come l’ommini, i vachi  dea liva
quanno i butti ‘nna scarecatora,
pare che non vidissiru mai l’ora,
come fosse ‘na gran massa viva,
fau a corre pé rrivane prima,
verzu ‘u buciu che se l’ha da gnotte!
Te pare come ‘a ggente che ffà a botte.
E u vacu grossu ch’ha lassatu‘ncima,
quillu più picculu, che ha sorpassatu
‘nzemmora a quillu che pare ‘na cuja
d’un cillittu nuacchiu appena natu,
penzava che ormai s’era sarvatu!
Ma s’è retróvu a èsse brubbruja,
‘zemmora a quilli ch’au macenatu!
 
Una volta ridotte le drupe, appunto, in una “brubbruja” la pasta passava ai contenitori di cui sopra e in superficie si vedeva già l’olio separato naturalmente.
  Mio padre ne prelevava, quando macinavamo la nostra,sempre un paio di bottiglioni e lo usava come medicinale; per esempio, per un certo periodo, ci faceva prendere a digiuno un cucchiaino di quell’olio per mattina. Diceva che era il vero olio vergine, perché non sollecitato dalle presse e dall’acqua calda con la quale pulivano le presse.
Quella pasta, appunto, veniva messa nei fiscoli per la pressatura. Il liquido andava al separatore che era come oggi ma meno sofisticato.
L’acquaforte, “l’oiacciu”, non veniva disperso subito, ma andava a finire in un grandissimo contenitore, ricavato normalmente sotto il frantoio, con lo scarico posto in basso e l’uscita di sopravanzo ad una cinquantina di centimetri dal bordo. Questo locale veniva chiamato l’inferno. L’inferno serviva a recuperare l’eventuale olio che veniva espulso dal separatore. Ed era sicuramente una maggiore fonte di guadagno per i proprietari del frantoio. E c’era più di qualcuno che regolava il separatore adeguatamente ai propri interessi. Credo si sappia che se il liquido all’ingresso del separatore arriva lentamente, raramente l’olio non viene inviato alla tanica; contrariamente, rimane mischiato con l’acquaforte e va all’inferno…ch’è paradiso per il frantoi ano!
Mi ricordo che la molitura era un’occasione per portare baccalà e pane e si faceva la bruschetta  con l’olio nuovo(c’era sempre la stufa accesa nel frantoio per l’acqua calda). Chi portava il pane, chi il vino e normalmente quelli come mio padre, che avano la bottega di alimentari, il baccalà. E, siccome allora non tutti producevano olio, come oggi, era un prodotto raro e quando “calavanu a liva”, da quando veniva portata al frantoio alla riconsegna dell’olio, un famigliare rimaneva sempre al frantoio. Era raro il caso contrario ma noi eravamo tra i rari, tant’è vero che qualche volta, la sera tardi, vedevi arrivare o “zzì Milio Gnacarella o u compare Fernando”, in base al frantoio scelto che bussavano e riconsegnando l’olio, sgridavano papà perché non era presente alla “conta”. Che tempi!
Chiudo, finalmente dirà qualcuno, con la solita poesia di chiusura.
A strada dell’oju.
(e déa bruschetta)
  Non vau a Roma ‘e stradi tutte quante?
Sta cósa non è cósa sibbillina!
Quella dell’oju, se non zì gnorante,
sa ‘mmece che ce porta ‘nnà Sabina!
Ècco  stà l’oju che  ppé tuttu u munnu,
tu non ne trovarrai mai l’eguale:
l’oju dau sapore pijnu, tunnu
che quanno è nóvu ‘o ddopri senza sale!
E ‘nnà Sabina, u l’utimu crapó,
sa che l’oju più bbono có ó pane,
ó trovarrai sicuru a Murricó!
Eppó, no pea rima a stu stornèllo,
se ‘na bruschetta bona vó ssaggane,
da Roma “hai  da venì a ‘sto paesello”!
[1] La poltiglia
Grazie per l’ascolto e a risentirci alla prossima. Buona notte a tutti.