Come facevamo3-

Come facevamo3

 

 
 
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da  RADIO MANZO

COME FACÈMMO Terza  parte

  Buona sera a tutti

. La scorsa settimana, parlando di cosa ci si portava “fore” come companatico, ho dimenticato il pecorino nostrano; formaggio molto usato visto che, tra l'altro, la maggior parte delle persone lo poteva avere con molta facilità dai pastori locali e non era affatto un prodotto ad alto costo; anzi, addirittura era un prodotto di scambio con la pastura nei piccoli appezzamenti.   Come del resto a basso costo era il baccalà (contrariamente ad oggi che costa più della carne!).

Dicevo che si poteva stabilire subito, in linea di massima, chi andasse a giornata e chi lavorasse in proprio, dal fatto che gli attrezzi chi andava a giornata se li portava lui. Molte volte,  ci si davano i “cagni”, cioè ci si scambiavano i lavori; vale a dire che si facevano insieme le lavorazioni prima al terreno di uno e poi dell'altro. Anch'io, sembrerà strano, mi sono dato i “cagni” con un mio gugino, da ragazzi, ma ci ho sempre rimesso! In primis perché il terreno più lontano che noi avevamo era Crovagnanu, mentre lui aveva U Cioccatu e u Colle dea Moratella; vale a dire che da me al massimo si facevano tre o quattro chilometri (parliamo di quando in campagna ci si andava a piedi) contro i sei o sette dei suoi. Seconda, stranamente a lui gli si rompeva sempre la staffetta della vanga, ( il vangile) che  era un pezzo di verga di ferro infisso nel manico a qualche centimetro sopra la vanga che serviva per   infilarla nel terreno spingendo col piede. A parte ( e questo non dipendeva certo da lui) che la colazione mamma la preparava sempre lei per tutt'e due! Transeamus, come direbbe chi ci capisce.
La gente era consapevole che bisognava prendere al volo quella novità che era la libertà alla quale ancora non erano tutti abituati e presi dall'entusiasmo si collaborava per migliorare. Specialmente dopo la divisione della Cesarina, occupata e tolta, in parte, agli eredi Torlonia cominciava a fruttare e molti che prima vivevano di sola diaria del padrone, cominciarono  a lavorare in proprio, però non c'era tanto da scialare e bisognava usare molta parsimonia. E di certo già pensavo questo nel 1959 quando scrissi la poesia che sto per farvi sentire
 ER TRENINO
1959
Io m’aricordo che, da regazzino, 
ciavevo un treno co’ la mòlla rotta
e pé nun faje dà la controbotta,
bastaveno tre giri, a quer trenino.
Un fijo der Podestà, ch’era più bravo,
poteva ar suo daje sette giri!
Er trenino che io adoperavo,
era lo scarto de ‘sti gran fachiri!
Avendo trovo, io, ‘st'’espediente,
giocavo tanto co’ la fantasia
e me ce divertivo uguarmente!
Bastava ricordasse ch'’ar trenino,
dovevi dà tre giri solamente,
tant'’anni fa; quann'’ero regazzino!
 Mi ricordo la mattina le squadre di uomini con gli attrezzi in spalla (vanga o gravina o zappa e con l'immancabile “runciu” oppure “u marracciu”,  penzoloni dalla cintura sul gluteo e qualcuno sulla coscia; serve specificare che u runciu è il ronchetto? Erroneamente qualcuno “u runciu” lo identifica nella roncola ma la roncola è “u marracciu” che in italiano si dice appunto roncola o marraccio, ma non divaghiamo che lo scopo era lo stesso: raschiare la vanga oltre che tagliare qualche “rutu”, rovo! )
Qualcuno ebbe la lungimiranza di proporre di unirsi in cooperativa per poter ottenere agevolazioni finanziarie e lavorare uniti per rendere il lavoro più facile per tutti. Ma la lungimiranza sarebbe stata tale se anche chi organizzava questi associazionismi fosse stato meno ingordo e più vòlto al sociale. E forse, la mia idea, condivisa da qualcun altro, di associazionismo (soprattutto a Moricone) è sconosciuta già dalla fondazione del paese. È dimostrato dal fatto che nel Vecchio Borgo, ci sono dei distacchi da una costruzione all'altra che non hanno niente a che vedere con i vicoli dei paesi medioevali. Difatti sono veri e propri distacchi per disaccordo nella costruzione.
Comunque sia, bisogna riconoscere che però c'era una sorta di solidarietà. nel rendersi disponibili con gli altri; forse perché ancora c'era l'incertezza del benessere. Ancora c'era il contatto quasi “parentale” col mezzo di lavoro e cioè la bestia da soma o il bue. Quando si faceva male uno di questi “mezzi”, non c'era solo la preoccupazione dell'aiuto ma era come se si fosse fatto male uno di famiglia. Questa attenzione era più accentuata con il cavallo. Era raro il contadino che passasse la brusca e striglia al somaro, mentre al cavallo era un'operazione quasi quotidiana.
Un altro momento che ai ragazzi d'oggi non si presenta più tanto facilmente come a noi, è la ferratura degli animali da soma. Fila di somari, cavalli e muli in attesa davanti la bottega di Mastro Orfeo o del compare Mario o zio Merino e dopo di Cesare e Ludovico in attesa di essere ferrati. E noi ci divertivamo un mondo, specialmente quando c'era qualche animale ribelle che scalciava per non essere afferrato alla zampa da “operare”
 'A FERRATURA
1959
«'Mbè réggi bbè 'ssà samba, n'u fa move!
Se 'nge sbrighemo tra un po' repiove...
pé ffà 'na samba...È già passata un'ora! 
« Se tu tinissi fermu s'animale,
 non me facissi moccicà 'nné chiappe,
non ce facissi girà tuttu u piazzale
starristi già da fijota a magnà 'e frappe!»
E già, che óggi è pure carnavale!
Che sbaju hó fattu a vinì a ferrane! 
« Chisà tra i dua chi è più animale!
Ma non 'o vidi ddó sta l'abbisogna?
Tu penzi a divertitte, ao ballane
e u somaru è remasu senza l'ogna!
Questa scenetta la dice lunga. Non era raro che o per incuria o per pigrizia o per risparmiare sulla ferratura, si lasciava che l'animale camminasse per qualche giorno senza ferro e se l'unghia dello zoccolo si sfaldava erano guai seri; la cosa più semplice era riportare gli altri tre zoccoli ad uguale altezza...sempre che l'unghia non fosse troppo rovinata.
Per questa sera ci fermiamo qui. Non vorrei annoiarvi troppo con i miei ricordi. 
Grazie per l’ascolto e a risentirci alla prossima. Buona notte a tutti.