Capitolo XXXIII-

Capitolo XXXIII

Luigi Massari  - VITA DELLA SERVA DI DIO

 Sr. COLOMBA DI GESÙ

DA MORICONE 

 a cura di Pierluigi Camilli

CAPITOLO XXXIII

QUANTO AFFETTO PORTASSE SR- COLOMBA ALLA PASSIONE DI GESÙ'

CRISTO E DI UN AMMIRABILE PALPITAZIONE DI CUORE ED ELEVAZIONE DI ALCUNE COSTE (costole)



Gesù Cristo innalzato e morto in Croce è il libro d'ogni dottrina di ogni sapere, di ogni lume: è il libro che insegnerebbe ai liberali dei nostri giorni (se lo studiassero) quel progresso e quella civilizzazione che finora, ma inutilmente, hanno cercato fra le sozzure e fra le empietà; è quel libro che insegnerebbe loro il vero comunismo e la vera fratellanza, poiché tutti fratelli e figli di un Padre che per riscattarci dall'eterna morte volle spargere tutto il suo Sangue, e ricomprati poi a si caro prezzo, volse lo sguardo sopra di noi e disse parole d'infinito amore: ecco il mio Regno: fecit nos Deo nostro Regnum. Sr. Colomba più avventurosa di noi studiò questo libro fin da fanciulla, e ne trasse misteri di grazie, e vi fece nuovo progresso. Rammentesi quanto di lei si disse, e vedasi con quanto impegno e devozione si desse a contemplare i divini Misteri della Passione di Gesù Cristo: talché ogni punto che davasi a meditare, ne avea si frequente l'oggetto che il tutto vedeva, il tutto udiva di quanto si facesse oltraggio all'appassionato Salvatore. Nacque da queste meditazioni la grande avversione al peccato, temendo non solo di commetterlo essa, ma soffriva gran pena e dolore quando si peccasse da altri. Nacque pur da qui ogni sua sollecitudine in avvertire i peccatori con tutto lo zelo e carità, facendo loro conoscere e la bruttezza del peccato, e l'immensa bontà di una Dio offeso e le pene e la morte sostenuta da Gesù in Croce per redimere l'uomo a prezzo del di Lui Sangue, e spiegando or l'uno or l'altro mistero della Passione, riconduceva le persone al retto sentiero della virtù, ricavando molte volte lagrime di compunzione [Ndr: oggi si userebbe contrizione] da chi la udiva. Bisognerebbe averla veduta quando in Moricone radunando tutte le donne e maritate e vedove e fanciulle, disponendole in processione, le precedeva poi essa colla Croce cantando pure canzoni sulla Passione di Gesù Cristo, e quando giunta alla Chiesa del Calvario recitando la corona di spine o dell'Addolorata e predicando a immenso popolo eccitava in tutto l'uditorio grande compunzione e dolore. Dal meditare questa Passione di Gesù nasceva l'uso che faceva di tanti tormenti e di cilizi e di digiuni; e di ogni maniera di macerazioni, nasceva da questa meditazione il caricarsi che faceva di pesantissima Croce le spalle di notte tempo, la quale trascinando e per la casa e per le scale vi cadeva poi sotto maltrattandosi e ginocchia e faccia. Da qui nasceva pure che giunta in sua cella, si fissava in piedi in mezzo di quella e colle braccia aperte tre continue ore, ritraendo tanto frutto dalla meditazione delle tre ore d'agonia di Gesù Cristo, che tutta la vedevano assorta nell'appassionato suo Signore. Disprezzando così ogni delicatezza, non più conosceva patire, soffrendo solo in sentire e vedere che tante persone affollate a soddisfare i loro appetiti, non conoscevano e non amavano Iddio; ohi qui sentendosi straziare il cuore pregava e sanguinava per quelle: - Oh Gesù -diceva- se vi conoscessero non amerebbero i pazzi piaceri, tante delicatezze, tante soddisfazioni. Fatevi conoscere, Gesù mio, fate saper loro tutte le pene ed oltraggi che per loro avete sofferti, la passione, la morte, il Sangue che per loro avete sparso: oh che vi amerebbero e vi compatirebbero! Fatevi conoscere, ferite loro il cuore, tiratele a Voi, come vi siete degnato di contar me la più ingrata e senza meriti.- Così industriavasi essa a cercati modi per far conoscere alla gente, per quanto poteva, questo caro Gesù, ed ardendo di poter operare pei prossimi, non risparmiava e con dottrine e con pratiche condurle dall'ignorante vivere alla strada della scienza del Salvatore. La scuola di carità che aveva intrapresa e in Mentana e in Moricone, a che fine se noni per istruire il prossimo a conoscere ed amare il Nazareno Signore! A che tante sollecitudini in ammaestrare persone e per la Chiesa e per le strade e pei Monasteri e per altri paesi e per ogni dove le si fosse presta occasione, se non per far conoscere la grave ingratitudine e sconoscenza dell'uomo alle tante pene ed acerbi dolori sofferti da un Dio Umanato, morto sopra un patibolo infame di Croce! La meditazione e la Scuola di Sr. Colomba fu sempre la Passione e Morte del Nazareno Salvatore. Quando meditava essa le pene di Gesù, tutte le sentiva in se tanto compiacevasi di soffrire a pari dell'appassionato Suo Diletto Sposo, che ad ogni istante le meditava per soffrirle essa pure, e tanto addentravasi con lo spirito, che appena si era prefisso il punto da meditare, già si era internata, già vedeva gli oggetti, già sentiva gli oltraggi, già soffriva gli strapazzi e già agonizzava e moriva col suo Sposo sulla Croce. Questo' suo modo di meditare, di sentire, di penare, di morire, conoscevasi all'esterno suo da chi la vedeva, bello e commovente spettacolo era il vederla quando in Chiesa fra le sue Monache leggevasi da una di esse qualche punto della Passione di Gesù Cristo: eccola impallidire e tremare da capo a piedi, eccola con gli occhi fissi e lagrimosi, eccola lamentarsi con pietosi accènti: s'alzava alienata dai sensi, e portandosi nel mezzo di esse, avrebbesi veduta una volta asciugare la terra col .fazzoletto per raccogliere il Sangue di Gesù che già vedeva grondar dalle lacerate carni sotto la flaggellazione: avrebbesi altra .volta veduta colle braccia al petto conserte fissa in piedi mirar, in alto e piangere il moribondo Gesù, che già vedeva pendente dalla Croce: avrebbesi veduta protendere le braccia per raccogliere l'esanimaato corpo, e contemplarlo sul gambo dell'Addolorata Madre avrebbesi insomma veduta in ogni atto, in ogni pio officio compatire le pene dell'amato Suo Sposo, e con gemiti, e con pianti, secondo il punto di meditazione che leggevasi. S'interrompeva allora la lezione delle Monache, che con silenzio, divote e intente a quelle commoventi scene, apprendevano molto più che dalla lettera, e ritornata poi in se davasi in dirotti pianti e in flebili lamenti che inteneriva quanti la vedevano, quanti l'udivano. Tutto il giorno camminava come estatica, sempre taciturna, sempre con una lagrima sul ciglio, sempre prorompente in sospiri e lamenti, ed interrogata da qualche monaca perché si facesse vedere così malinconica -Come - rispondeva - io malinconica! io son molto allegra. se sapeste guanto gaudio interno io provo! Quanta dolcezza mi dona il mio Signore! All'esterno forse sembrerò malinconica, all'interno però, vi assicuro, ch'io sono molto allegra: difatti, non ho donde allegrarmi? è morto Gesù per salvare l'anima mia, ha sparso per noi tutto il preziosissimo sangue, e non ho da sentire allegrezza perciò; mentre ci ha assicurata l'eterna gloria! solo mi dispiace non poter io soffrire quant'Egli ha per me sofferto, solo mi dispiace dei miei prossimi che tanti ancora non conoscono la loro Redenzione ed il Sangue che ha sparso un Dio Umanato! Oh questo sì che mi cruccia, questo m'addolora, questo mi fa morir di pena! - Tanto insomma fu devota Sr. Colomba della Passione e Morte del Nazareno, che nelle sue Regole che scrisse, inserì che le monache sue in allora e per sempre meditassero due volte al giorno, mattina cioè e sera, la Passione di Gesù Cristo, come presentemente praticasi con esatta osservanza dalle buone Religiose del suo Sacro Ritiro. Chiuderemo il caso presente con riferire quant'ella di proprio pugno ci lasciò scritto per ordine del suo Confessore, circa un palpito di cuore, con elevazione delle coste che lo coprono, occasionato da veementi impulsi cui andava soggetta quando meditava la Passione di Gesù. -Per obbedire dichiaro quel che si è degnato il Signore compatire all'anima mia nel mese di Novembre (tace l'anno). Mi trovai un giorno molto assorta in ispirito, ricolmandomi il Signore di gioia e consolazione celeste, e per la pienezza dell'interna gioia pareva mi si aprisse il cuore in modo tale che in alcuni momenti le palpitazioni erano si gagliardi, che io credendo fosse effetto di sangue, dubitai di qualche malattia e ne parlai più volte al Confessare il quale ne voleva render conto al medico. Continuando i battiti a farsi più vigorosi, mi sentivo dire internamente : questo non è male naturale é il Signore che così opera, non temere, e così, mi quietai. Con questa palpitazione di cuore mi accorsi che alla parte corrispondente, le coste si erano alquanto alzate, e spesso mi sentivo dare dei colpi così forti che mi producevano dolore anche all'esterno, e mi abbisognava mettere la mano a quella parte accioché si calmassero i colpi. Facendo io un largo respiro, mi pareva che si aprisse un poco quella parte che mi dava pena, ma era una pena che non mi dava noia, anzi molto mi tirava a Dio dandomi grande cognizione di Lui e dello stato deplorabile dei miseri peccatori. A quest'ultima riflessione allora poi sentivo un certo dolore che mi faceva dare in isfogo di pianto offerendo a Dio e lagrime e preghiere, per la conversione di quelli, bramando io di predicare loro la Passione di Gesù. Continuava l‘innalzamento delle coste, con grave pena al cuore, ma più grande con questa pena, più ancora era l'interna consolazione in quanto alla cognizione di Dio, sicché era unita gioia e pena, dolore e gaudio, ed io in questa smania di amore e di dolore sfogava l'anima mia in amorosi amplessi chiedendo perdono pei peccatori e grazia per la loro conversione. Da quel giorno continuarono più veementi i palpiti, e nel giorno tredici Dicembre li sentivo più acerbi e forti, quando nella notte sentendomi come rapita in ispirito, mi si presentò un angelo che con una lancia si diresse al mio cuore, e vedendo pure due altre persone vezzose che mi sostenevano, me la spinse quegli nel cuore. Questa visione fu un lampo d'istante, perché sentito dolore intenso al cuore, tutto si sparve, lasciandomi accesa di Divino Amore. Rinvenuta in me restai alquanto pensosa sulla cognizione di quelle due vaghe persone, ma agli splendori che mandavano dal loro corpo, ben mi pare capire fossero Gesù e Maria. Fatta mattina e rimasta ancora in ginocchio, venne il Confessore e mi trovò in quell'attitudine, e vedutami abbattuta, e raccontandogli il dolore che più forte sentivo, senza dir altro, mi comandò che per obbedienza fossi guarita, e la terminassi una volta; passando al tavolino e scrivendo un biglietto per una occorrenza, subito mi calmarono i battiti ed il dolore, e attendendo nel resto della giornata a' miei uffizi, sentivo tanto rapita l'anima in Dio che non ho lingua da dichiarare l'interna consolazione. Il giorno dopo ricominciarono i palpiti che durarono violenti fino alla vigilia del SS.mo Natale, e nel resto della mia vita di quando in quando riapparendo, mi furono in tal guisa continui, siccome presentemente, essendo in età quasi ottuagenaria. Ne sia lode al Signore eternamente, datore d'ogni bene. - Si è riferito questo racconto nella semplicità con cui ella lo ha scritto, avendo variato solo qualche termine.

[NdR] Il testo in neretto è stato copiato dall'Autore come è nel manoscritto di Sr. Colomba.

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