Capitolo XXIV-
Vedendo Sr. Colomba che l'appartamento assegnatole dal Padre era molto inopportuno alla scuola, essendo ristretto relativamente al numero delle scolare che ognora andava crescendo, andava ruminando dentro di se, come fin da fanciulla aveva desiderato di fondare il Monastero: ma come riuscire a si grande impresa? D'altronde le era stato significato da Dio con la visione dell'Arcangelo S. Michele di fondarlo in uno dei palazzi del Sig.. Principe Borghese, né vedeva strada alcuna aprirsele. Un giorno mentre stava facendo scuola, si vide comparire tre Padri Missionari di Monte Citorio, fra i quali Padre Corona che aveva conosciuto in Mentana in occasione delle Missioni, come si disse a suo luogo, e Sr. Colomba accogliendoli con molta confusione, ebbero quei Padri molto a consolarsi nel vedere tante giovanette tutte intente ai lavori, ma donne adulte e vecchie e ricevere da lei istruzioni o santi documenti. «Ma che avete fatto, Suor Colomba» le disse questo Padre Corona« che passando io a Mentana ho trovato tutte le vostre scolare piangere ancora la vostra perdita e desiderandovi ardentemente.» Arrossendo essa risposegli derivar questo dalla loro bontà, che doveano piuttosto (cacciarla) a colei. Risero quei Padri ed affacciatasi ad una finestra, fra loro parlando, le dissero poi quello non essere luogo adatto al ministero della scuola, ed essa udendo introdursi quel discorso, con voce tremante rispose che se avesse potuto unire lattuale fabbricato, che abitava, ad alcune casette annesse e mezze distrutte dal terremoto, che erano di una certa Signora chiamata Chiara Valeriani, pissima donna di Moricone si sarebbe potuto fare un comodo e sufficiente abitato, ed essi affacciatisi di nuovo per vedere quelle case, risposero che neppur varrebbe, e sussurrando sottovoce con l'Arciprete, dopo un quarto d'ora circa, la salutarono dicendo: «Questo non è luogo per Suor Colomba, né per adesso né per l'avvenire per ciò che Dio vuole fare per di lei mezzo» e così essa chiese la benedizione e ritornò a proseguire la scuola. Il giorno dopo si diede principio alle Missioni in Moricone, e l'Arciprete Marchetti volle che essa si confessasse al Padre Corona, che di buon grado accogliendola, sentì la confessione generale che Sr. Colomba cominciò fin dalla sua fanciullezza, e scorgendo quegli essere alla giusta e consumata perfezione,le sortò a proseguire la scuola di carità e gli atti tutti virtuosi già intrapresi, rammentandole infine che il Signore voleva da lei più grandi cose. Terminata la Missione volle lArciprete avvertirla che già si era divisato fra se, i Padri Missionari e l'Affittuario del Principe (certo Signor Baglioni) avanzare istanza alla Signora Principessa Borghese per ottenere una parte del più antico Palazzo (quello appunto che le aveva indicato l'Arcangelo San Michele) e dovere essa il giorno dopo portarsi subito a Roma per tal fine:« Andate a casa» le disse«e avviserete Felice che domani mattina prepari alcune cavalcature per condurvi a Roma» -Ma mio Padre- soggiunse ella -vorrà sapere il motivo di questo mio viaggio- a cui egli« I n virtù di santa Obbedienza tacerete il tutto al Padre vostro» - Ma egli non mi condurrà- ripetè essa -in questo modo!- « Andate pure» replicò l'Arciprete« che il tutto vi riuscirà». Andò' essa a casa e disse: -Signore Padre, vi prego condurmi a Roma domani preparate due cavalli uno per me, per voi l'altro- «Subito»le disse egli «ma per qual fine?» -Per andare a Roma- ripetè ella. «Capisco, capisco per andare a Roma, ma a che fare?» -Ma Signor Padre conducetemi a Roma-. «Or bene il cavallo sarà pronto, ma» turbato soggiungeva « il padre ha da condurre a Roma la fi glia senza sapere il motivo!» Dati gli opportuni ordini a Sr. Angiola per la scuola l'avvisò Sr. Colomba a pregare il Signore per un certo affare che doveva servire a di Lui gloria, ed arrivata la notte si ritirò in camera più che per dormire, per supplicarlo per il. buon esito, credendo quello essere il principio della fondazione del Monastero tanto desiderato. Fatta l'aurora, e compiuti Suor Colomba i suoi doveri di pietà andò alla Chiesa, conferito il tutto all'Arciprete che già lattendeva, aggiunse come il Padre volesse sapere il motivo; ma egli consegnandole la supplica da presentare alla Signora Principessa, le ordinò di nuovo tacerlo per obbedienza, quindi la comunicò e rimandò a casa. Veduto il Padre che lattendeva con i cavalli già pronti, così le disse: «Prendetevi un uovo, perché il viaggio da farsi è lungo» e ripetendo di nuovo voler sapere il perché l'aveva da condurre a Roma -Andiamo, andiamo- replicava essa -bisogna andare a Roma!- «Lo so» diceva il Padre « che andiamo a Roma, capperi vi conduco io!» ma non avendo altro in risposta, s'avviarono fuori del paese. Fatti pochi passi ecco che il Padre si ferma e di nuvo la addimanda del perché, ma essa: -Gesù mio- diceva fra sé -oh santa obbedienza! ma come obbedisco poi, disubbidendo? Faccio l'obedienza al Confessore con il fare la disobedienza al Genitore !- e replicando forte a questi: - Sollecitiamo, che il viaggio è lungo- diedero di sprone ai cavalli e camminarono, lasciando il povero Padre nella piena ignoranza. Andava questi avanti e di tratto in tratto sospirando diceva fra se: ma questa è bella! È una cosa ch'io credo non sia mai avvenuta da che il mondo esiste, che cioè un Padre abbia a condurre a Roma una figlia senza sapere la ragione! E ad ogni miglio circa sospirando e ripetendo la stessa frase ammirativa fra se, lasciava in pace la figlia, risparmiandola di rispondere.. Entrarono dopo sei ore di cammino in Roma, e finalmente ad un albergo, dove riposti i cavalli, senza neppure refezionarsi sortirono sulla strada, e Felice che aveva lasciati per tutta la strada che da Moricone conduceva a Roma centinaia di sospiri e di ammirazioni, chiese ansiosamente alla figlia: « Dite or dunque dove v'abbia a condurre, comandate pure» cui essa: -Al Palazzo Borghese- ripetè quegli «Ma a che fare?» e fermatosi su due piedi, nel mezzo della strada: «Sarebbe dubbio»esclamò forte « che andaste a chiedere il Palazzo di Moricone? Badate bene, perché Felice non ha bisogno dei Palazzi del Principe, e la figlia sua sta bene in casa del Padre!» Finché insomma non furono al Palazzo Borghese, unico fu il suo dire, che ripetere le stesse parole fermandosi di tratto in tratto su due piedi e con le braccia conserte al petto. Entrati nel Palazzo, salivano le scale quando appunto la Principessa scendeva per montare in carrozza, e tostoché si videro, tutta gioviale si diresse questa a Suor Colomba (avendola già conosciuta a Mentana) «Che fate»le disse «Sr. Colomba mia? Mi dispiace che sono attesa e devo partire» ma essa, compiuto breve e rispettoso complimento, le presentò la preghiera, che letta, sorridendo quella le disse: «Figlia mia, state pur tranquilla che sarete consolata» e fatto breve discorso ed abbracciatala di nuovo, montò in carrozza e partì. Felice, che per convenienza si era ritirato alcuni passi distante, inteso, dal breve colloquio che si trattava del Palazzo di Moricone, gettando a terra il cappello tornò a ripetere forte: « Felice Serantoni non ha bisogno del Palazzo del Principe Borghese, e la figlia sua sta bene nella casa del Padre!» ma Sr. Colomba cercato di quietarlo, lo richiese che lo avesse condotta a S. Francesco. S 'avviarono intanto e costà giunti ed entrati in Chiesa, dimandò essa ad un religioso del P. Lodovico che sapeva essere stato colà mandato di famiglia, e fattolo venire, si rallegrò egli in vederla, e fatto conscio di tutto, l'animò a continuare l'opera del Signore, ed accorsi altri Religiosi che pur essa aveva conosciuto in Mentana, rallegrandosi tutti la lodarono ed incoraggiarono. Li pregò poi essa tutti perché persuadessero il Padre, non riflettendo egli che stesse in Chiesa, gettando a terra il cappello di nuovo, cominciò pure a gridare che Felice Serantoni non aveva bisogno del Palazzo del Principe Borghese e che la figlia sua stava bene in casa del Padre, né valendo quei Religiosi persuaderlo, esortarono invece la figlia ad aver pazienza, dicendole essere lavoro del Demonio per distorla dalla Santa impresa. Ma essendo l'ora tarda, chiese Felice alla figlia dove l'avesse più a condurre, cui essa rispondendo che a nessun altro luogo, le disse il Padre doversi ambedue ritirare in una locanda, ma udito ciò i religiosi, parve loro bene non essere conveniente, che una Monaca con un uomo sconosciuto in una città si rifuggiassero in quel luogo, e scritta in breve il P. Lodovico una lettera, la consegnò a Felice indicandogli e strada e Palazzo perché avesse fatta pernottare colà la figlia, licenziatesi e trova la casa, che era pochi passi distante, presentarono la lettera, e lettala un certo.. Signor Brea, gli introdusse, e presentò Suor Colomba alla moglie e alle figlie le quali con tutta garbatezza e urbanissime dimostrazioni la riceverono unitamente al Padre e perché raccomandati dai Religiosi e perché scorsero subito nel di lei aspetto e tratto la vera modestia e virtù religiose. Dopo cenato, furono introdotti in due contigue camere, e rimasta Suor Colomba sola, perdé quasi l'intera notte in contemplare i devoti quadri ed il presepio tutto in figure che stavano nella sua camera, passando molte ore inginocchiata avanti questultimo, e vi avrebbe passata la notte intera orando, se la stanchezza non l'avesse invitata a coricarsi. Fatto giorno, salzò e senti non potersi reggere, dolendole una gamba. Fatto chiamare un medico all'istante, fu riconosciuto il male per una resipola e consigliato il Padre partirsene solo, lasciando in quella casa la figlia, non essendo possibile si fosse retta a cavallo, essa restò così presso quelle buone persone per quindici giorni. Scorsi i quali, andato per riprenderla Pietro Paolo, di lei fratello maggiore, il Sig. Brea la moglie e le figlie amavano farla trattenere altro tempo, ma adducendo il fratello sarebbesi disgustato il Padre, con altre ragioni, permisero lasciarla partire con sommo loro dispiacere, per aver lasciata in quella famiglia edificazione e singolari atti della più affettuosa riconoscenza ed urbanità. Furono a visitarla altri vicini che già godevano della di lei conversazione e dei santi discorsi e partendo con la promessa di visitarli in caso di suo ritorno in Roma, volle passare per Mentana per visitare la zia colà maritata. Oh!quanta fu grande la consolazione dei Mentanesi in ri vederla ed in particolare delle sue antiche scolare! Fu una festa, fu un tripudio generale, ed avendo pranzato presso la zia, partì per Moricone accompagnata da molte persone, e da tutte le scolare lunga pezza di strada non senza lagrime di consolazione per averla riveduta, di dolore per riperderla. Giunta a Moricone trovò il Padre turbato ripetere ancora Fe lice Serantoni non ha bisogno del Palazzo del Principe Borghese e la figlia sta bene nella casa del Padre. La Principessa d'accordo con il Principe aveva già mandato il rescritto al Ministro Giosi, che stava in Palombara, e portatosi questi in Moricone presso l'Arciprete, non aveva potuto concludere cosa alcuna; mentre Felice Serantoni gettando il cappello a terra disse non aver bisogno del Palazzo, e che la figlia stava bene presso di lui, e Suor Colomba dispiacente non esservi trovata presente, disse al Padre non volerlo disturbare d'avvantaggio, assicurandolo però che, non passato un mese egli stesso avrebbe sollecitato di concludere. «Ma chi? io?!» le rispose «figlia mia, vi sbagliate; voi state bene in casa di Felice Serantoni né io ho bisogno di palazzi» e raccolto il cappello che già aveva buttato per terra se lo rimise in testa, accorgendosi allora solo che lo aveva ridotto uno straccio per il gran gettarlo, ed essa ritirandosi in sua camera si diede a pregare il Signore lo ayesse persuaso acconsentire. Passati alcuni giorni, ritornò il Ministro di Palombara a Moricone e unitosi al Governatore, all'Arciprete e allo Scritturario (allora certo Baglioni) mandarono a chiamare Suor Colomba per una donna, ma accortosi il Padre la cacciò di casa, ritornò quella, e più che mai infuriato la rimandò gettandole il cappello in faccia: allora Sr. Colomba sortendo per altra porta, senza ch'essi se ne accorgesse, andò a quei signori che l'attendevano in casa dell'Arciprete. Entrarono tutti nel Palazzo, e fatta vedere a Suor Colomba tutta quel la parte che le donava Sua Eccellenza, stavano già tutti seduti per istipulare e già dava di mano alla penna il Notaro per iscrivere, quando entrò Felice Serantoni, che, gettato il cappello con furia, gridò ben forte perché l'intendessero:« Felice Serantoni, figlio di Petro Paolo antico Moriconese non ha bisogno di questo Palazzo, e Suor Colomba, figlia mia, sta bene assai in casa di Serantoni antica quanto questo Palazzo. Restarono tutti meravigliati, ed il notaro che fu certo Sig. Paolo Manzi di Monterotondo rispose: «Signor Felice, io gli so dire che se il Principe donasse questo palazzo a mia sorella, che pure è monaca, io per allegrezza vorrei abbracciare(1) tutte le mie botti. A cui egli «Ma io vorrei che vostra Signoria abbracciasse(2) anche la cantina con tutta la grotta, per me so dirle che non ho punto bisogno di questa spelonca» e ricercato il cappello e ripostolo in capo, Dio sa come, senza dir altro se ne andò. Suor Colomba chiedendo scusa a tutti per il Padre e pregandoli compatirla, perché l'amore di Padre lo faceva parlare in quel modo, aggiunse se non voler far altro per allora, se non con il consentimento del Padre suo; assicurandoli inoltre che ciò non si poteva in quel giorno fare per di lui causa, non sarebbe passato un mese che egli stesso avrebbe cercato concludere il tutto. Così fu, perché datasi a pregare con calde lagrime il Signore, ottenne quanto desiderava. Partì un giorno da Moricone Felice Serantoni, né seppesi per dove, né per qual motivo, ma l'Arciprete passati altri giorni, dicendo a Sr. Colomba avesse obbedito andando a Palombara per istipulare l'istrumento con il Ministro, ad onta del divieto del Padre, ed essa detto al Padre che le allestisse il cavallo per tal fine: non importa le disse v'incommodiate, ho già parlato io stesso, ed egli verrà domani. Non ostante, rendendo Sr. Colomba le grazie a Dio perché l'avesse già esaudita, esortò il Padre ad andare secolei, per non incomodare il ministro, cui consentendo si partirono insieme all'Arciprete e allAffittuario, per motivo ancora che in quel giorno, che fu il primo di Settembre del 1729, si festeggiano in Palombara con solenne pompa le glorie di S. Egidio. Andarono tutti, e meravigliato il Ministro perché doveva portarsi egli stesso in Moricone, non conclusero perciò, dovendo sbrigare altri affari, ma ripromise dopo due giorni, in Moricone. Suor Colomba fu ricevuta in casa del Sig. D. Filippo Secondiani, dove l'andarono a ritrovare altre monache Terziarie di Palombara e vari Religiosi che desideravano conferire con lei, passando l'intera giornata allegra nel Signore. Ritornati a Moricone, dopo due giorni arrivò il Ministro Giosi, fu stipolato l'atto e Sr. Colomba ricevè le chiavi come padrona assoluta di quella parte del palazzo che le avea regalato sua Eccellenza il Sig.Principe Borghese, ad istanza della Sig.a Principessa sua consorte. Due giorni dopo ricevè Sr. Colomba un biglietto dell 'Arciprete Marchetti, con cui le comandava sott'obedienza, si fosse stabilita alla nuova_abitazione : difatti essendo ora di scuola ed avendo raccolte molte scolare e donne, cominciò a spogliare l'appartamento, e consegnando a chi un Crocifisso, a chi un quadruccio, ed altro ad altre, meno il telaio che non potè in tempo, mentre il Padre essendo andato alla vicina vigna detta S. Pietro, approfittò essa di quel momento per non dargli dispiacere, conoscendo bene aver egli acconsentito solo per riflesso di non impedire la Volontà di Dio. Di nulla accortosi, egli, già ritornato passeggiava taciturno lungo la sala e con le braccia al petto conserte, quando Sr. Colomba e la piccola Barbarina gli si genuflessero a' piedi, chiedendogli perdono la prima per le amarezze causategli, e ricordandogli dover essa ciò fare per obedire a Dio lo richiese della Benedizione e gli disse voler essa partire per la nuova abitazione. Si fermò il Padre, stette silenzioso ad osservarla così genuflessa, ed alzati gli occhi al cielo , mormorò poche parole con le labbra tremanti, né alcuna potendo proferire, ritirossi in camera che le lagrime gli rigavano copiose le guance, e l'angoscia gli opprimeva il cuore. Chiese pur perdono alla sorella ed ai fratelli, ed alzatasi si avviò alla Chiesa seguita da tutte le scolare e da molte vicine: adorato l'Augustissimo Sacramento, proseguì il cammino ed entrò nel Palazzo. Appena giuntavi sospese al muro il suo Crocifisso, e genuflessa con le due compagne, Sr. Angiola cioè e Barbaruccia, adorarono il loro Sposo Gesù e lo ringraziarono. Era già notte, ed appena ebbero tempo di allestire i tre letti e riposare incenate, santificando intanto quel luogo subito con un digiuno. Fatta mattina fu a trovarla l'Arciprete per confortarla nella pazienza, mentre non aveva errato Felice Serantoni chiamare quella non casa ma spelonca: rozzi e screpolati n'erano i muri, le finestre senza vetri e telai, le porte spalancate e senza riparo, ma rispondendo essa che Gesù essendo nato in una stalla stava bene, ed era anche troppa quella casa per lei, s'intenerì l'Arciprete a quella santa rassegnazione, e confortatala a sperare nella Divina provvidenza, la lasciò. (1) e(2) NdR. Credo sintenda "abbruciare" da abruggiare (bruciare) medievale.(Indietro ) |