CAPITOLO XII-

CAPITOLO XII

 Luigi Massari  - VITA DELLA SERVA DI DIO

 Sr. COLOMBA DI GESÙ

DA MORICONE 

 a cura di Pierluigi Camilli

CAPITOLO XII

LA CONSIDERAZIONE DELLE PENE DELL’INFERNO LE FA RADDOPPIARE L’USO DELLE PENITENZE E MORTIFICAZIONI

 FONDA IN MENTANA LA “SCUOLA DI CARITÁ PER LE ZITELLE”.

Lo zio Arciprete, senza darlo a divedere, accorgendosi che la nipote faceva progresso nelle virtù, continuamente la teneva d'occhio, e, cercò egli pure darle qualche istruzione. Lo interrogava Paola sopra vari punti della Religione, cui egli amorosamente rispondendo la soddisfaceva di guisa che le giudicava, e non trovando opportunità a queste conversazioni che nel tempo del pranzo e della cena, essa invece di mangiare per nutrire il corpo, come estatica ascoltava lo zio ricevendo così da lui un cibo spirituale. Interrogato un giorno da Paola come chi muoia veda a faccia a faccia il suo Creatore, e spiegatole egli che lo vedrà come  severo giudice che darà in  premio ai giusti il paradiso,l'inferno ai reprobi, le dipinse poi questo con si orribili colori,che tutta rabbrividendo per lo spavento, determinò in quel punto darsi più di cuore all'impiego delle opere buone ed a raddoppiare penitenze per non dannare l'anima propria. Si fece perciò più solitaria e taciturna, vestì gli abiti più dimessi ed anche laceri, si diede con più fervore all'orazione ed alla lettura di spirituali libri ed in particolare alla meditazione della Passione di Cristo, come mezzo potente a   liberarla dai peccati e che poi le fu la quotidiana panacea per tutta la vita. Il pensiero dell'inferno tanto le faceva  paura che le pareva di vederlo e sentlr persino le disperate voci dei miseri dannati; talché tutta raccapricciata, tremava per lo spavento: frenò  ancora il ridere e il conversar di cose secolari cercando con tutti e in ogni luogo introdurre discorsi spirituali, e   quando si accostava al fuoco subito figuravasi aver avanti il   fuoco dell'inferno, ed a bella posta mettendo sopra un carbone acceso o un dito o una mano od un piede fino alla sensazione del dolore, come fuori di se ed ad alta voce:- O inferno, o inferno- di modo che udendola i vicini accorrevano, e chiestole cosa    le fosse accaduto, ritornando essa alla naturale sua compostezza, diceva di essersi per caso abbruciata qualche parte del corpo, e introducendo allora il discorso sopra l'inferno che certamente non ha paragone col fuoco naturale diceva loro: -Ah! Sorelle   mie asteniamoci dai peccati; che l'inferno deve essere luogo di gran tormento-  e terminava con discorsi, secondo la qualità  delle persone, tutti tendenti all'amor di Dio, ed all'odio del peccato.

 Vennero in quel tempo da Roma a Mentana i Missionari dove si trattennero quindici giorni, e non è a dirsi quanta e quale fosse l'allegrezza di Paola in tale circostanza. Intervenendo mattina e sera alle prediche e catechismi, restava estatica nel mirare la compostezza e la modestia di quei buoni religiosi ed esclamava:- Oh! Beati essi che sono veri servi fedeli di Dio- ed esaminando quale le fosse sembrato, come ella diceva, più santo  le parve scorgerlo, ed a quegli volle fare la sua confessione  generale, cominciando dall'uso di sua ragione, che però disse dalle  fascie (n.d.r.: “come ha sempre fatto, fin da bambina, quando era in fasce”). Un'anima molto favorita da Dio, emendandole perciò molti suggerimenti e lumi circa il bene camminare nella perfezione, la lasciò soddisfattissima vari ricordi ed esercizi da praticare. Sugli ultimi giorni della missione, chiese quel padre a Paola se bramava farsi monaca: - Padre mio -rispose essa- è uno dei più forti desideri che io ho, ma ancora mio padre e zio non mel permettono. «Sappiate» le disse egli «che io tengo ordine di una Principessa romana, di trovarle una giovane che desiderando monacarsi, quella le fa le spese occorrenti, per sua pietà e devozione, e perciò se voi desiderate tanto, potreste essere la favorita. Poiché unitamente a quel religioso si fecero a parlare allo zio Arciprete, ma come che non era volontà di Dio, non ammise, adducendo la di lei età ed altri motivi, e così la povera Paola addolorata, restò priva di quella bella occasione. Questo padre missionario, del quale occorrerà altrove parlare, fu il Padre Corona, ed in partendo lasciò a Paola il libro della Filotea  perché lo meditasse. Dandosi essa a leggere con umiltà e a meditare quel libro, dove vien da pascolare lo spirito quanto uno desidera, e leggendo ancora la vita dei santi martiri, e sentendo come per salvare le loro anime tanti soprusi e tormenti crudeli ebbero a soffrire, vergognandosi essa di sé medesima esclamava:-Tanti uomini e donne hanno patito sì crudi tormenti e martirii; hanno lasciato la vita, Gesù Cristo stesso è morto come un infame inchiodato sopra un croce, ed io che ho fatti e faccio tanti peccati, me ne devo vivere così alla buona, in mezzo alla delicatezza senza patir cosa alcuna, né far debita penitenza! Mio Dio, aiutatemi voi a soffrire qualche cosa per amor vostro.-Non basterebbe perciò frapporre alle lenzuola corpi duri, dormire sulla nuda terra. Si fece fabbricare un più duro e tormentoso cilizio da indossare sulla nuda carne, disciplinavasi più volte al giorno, e tutto ciò le pareva poco e diceva di non far penitenza. Conoscendo poi che il vero patire consista nella negazione della propria volontà, distrasse se stessa delle proprie passioni, pregò Dio la facesse in tal modo patire, né andò guari esaudita; perché quanto desiderava era in tutto controllata dallo zio, il quale accorgendosi che si martoriava, le impedì affatto ogni maniera di penitenza, ed essa afflittissima in ciò provava più dolore che ne avesse usati i più duri flagelli, aggiungendosi alcuni strapazzi ancora da una sua zia che stava maritata in Mentana. Un giorno fu a trovarla costei, e rampognandola con aspre parole, le fece conoscere come se ne vivesse da Signora in casa dell’Arciprete, mentre essa non avendo avuta l'intera sua dote, e conveniva faticare per vivere.

Era poi esagerata quella miseria, mentre stava comoda e sufficientemente provveduta anziché no, e se le toccò meno dote di quello diceva appartenerle, fu per volontà del nonno di Paola che predilesse per varie ragioni la di lei madre. Or dico io, che colpa, Paola, se il di lei nonno si era di portato in quel modo? Eppure stava questa ad ascoltarla con tanta rassegnazione, e cercava quietarla esortandola alla pazienza, senza mai discolpare se medesima come se appunto gli avesse avuto parte.  Solo io, ripeteva quella,sono la poverella e faccio penitenze       col faticare, mentre tu con le tue bizzocherie ti assidi a tanta mensa e. gozzovigli, ed io vorrei farti veder ascoltar    più Messe di  te e  più Via Crucis, e baciare più immagini, se avessi chi mi preparasse un buon pranzo: e la povera Paola stava silenziosa ed ascoltava come avesse torto, prendendosi sulle spalle la risoluzione che fece il suo nonno morendo nel Testamento.

Passati alcuni giorni si vide una mattina venire in casa una donna che teneva sua zia a mo di serva, e sentita questa intimarsi per ordine della padrona di andare in campagna secolei per aiutarla a fare un fascio d'erba per pasturare il somaro. Paola, comeché umilissima, si rallegrò in pensare d'essere impiegata come serva da un somaro, e sebbene non mai si fosse occupata in sì basse opere, condiscese di andare, e partendo da Mentana sul mezzogiorno (ed era nel caldissimo mese di luglio) andarono ad un prato alquanto distante dal paese, dove giunte le disse quella donna con poche civili parole: - Ecco, bizzoca, la vera penitenza, orsù, fa il fascio -.Paola senza dir parola, osservò la donna come faceva, imitandola fece il suo fascio e se lo caricò in testa. Camminando nel gran caldo, entrò in Mentana e dovendo percorrere tutto il lungo borgo incontrava le genti che osservandola si meravigliavano e ridevano, ma essa sopportando per amor di Gesù che pensava aver portato la Croce grondante di sangue fra le derisioni e strapazzi, con volto allegro per nulla curando il copioso sudore che le grondava dalla faccia, camminava ed offriva quella sua fatica e sudore al suo Dio, dicendo fra sé:- Questo sì che mi piace più delle discipline e dieci vizi, davvero che questa è penitenza! - ma pure lieve in confronto di quella che hanno fatto tanti Santi e il proprio Gesù- questa non è infine quella la quale fanno tuttodì  i poveri villani, e questa che faccio io, tranne la vergogna che provo, non è che un'ombra.-

Avendo letto di una Santa che per avere belle mani, innamorava gli uomini, e che essa con la calce se le sfigurò e con altri tormenti, Paola osservandosi subito le mani, anche voi, disse, mie care mani avrete le stessa sorte benché non siate tanto gentili e graziose da innamorare gli uomini, ed oltre che se ne erano già guastate con lavare piatti e fare il bucato: per fare quest'ultimo adoperava lisciva così bollente che le si tagliavano, e mentre grondavano sangue se ne asciugava poi con grassi panni, aprendo così i tagli con indicibile dolore.

Vari giovani di Mentana la tenevano d'occhio, per non essere brutta, ed essa avvisata di ciò, da alcune donne, ne piangeva e pregava caldamente il Signore dicendo: - Gesù mio, fatemi piacere solo agli occhi vostri purissimi, non permettete che sia bella agli occhi di verun uomo e nessuno pensi a me- e sentendosi poi dietro strada dir qualche lode da alcuni giovani, oh! il dolore che sentiva dentro di sé, e quando usciva di casa, avrebbe voluto coprirsi tutta la faccia per non essere osservata, fuggendo il più che poteva trattare con uomini ancorché parenti. Avendo letto di un'altra Santa che aspergeva di cenere la minestra che le era posta in tavola, per renderla al palato disgustosa, subito la imitò Paola e continuò per sempre tale uso.

Stava le ore intere con le ginocchia nude sopra piccoli sassi dalla sera quasi fino al giorno supplicando il Signore le avesse concesso patire: -mandatemi almeno- diceva -una grave malattia che consumi questa mia carnaccia che porto sopra le ossa- e considerando la  miseria del corpo umano, e mirando se stessa, diceva:-perché tante pompe, tante galanterie, tanti vezzi ad abbigliamenti sopra questa misera carne impasto di vermi e terra! Vermi ci mangiano vivi, vermi  ci corrodono morti; e chi sono io mai? E questa povera anima mia resta inceppata tra vermi e putredine, fra questa schifosità e puzza! E gli uomini si hanno da innamorare di queste miserie!- E mentre così diceva a se stessa, avrebbe desiderato che l'anima sua fosse disciolta da single miserabili vincoli del corpo, non importando le morir subito: ma poi riflettendo, desiderava pur vivere oltre, a solo fine di patire per espiare, come diceva tanti peccati commessi.

Tante e sì belle virtù non potevano restar ristrette entro gli angusti limiti della casa di Paola, anzi della di lei  camera, non conoscendole tutte neppure lo zio, che cominciando dileguarsi per Mentana ed oltre molte zitelle apprendevano la modestia ed il buon costume gareggiando di imitarla negli atti di pietà, nella frequenza dei Santissimi Sacramenti. Cominciarono perciò a frequentare la casa di Paola, e vollero molte Madri che le loro figlie andassero appositamente con ella, concordandovi pure elleno stesse, additandola per ispecchio e modello perché ricevessero istruzioni ed educazione.

Vedendo l'Arciprete che s'accresceva di giorno in giorno il numero delle zitelle, né era lieto per ciò che assegnò alla nipote una camera grande al pianterreno della casa, perché  aprisse così Paola una scuola di carità per le fanciulle, il che avendo quella già designato, acconsentì. Radunatesi tutte in quella camera; cominciò ad insegnar loro la Dottrina Cristiana oltre i lavori manuali, leggeva loro libri spirituali ora di preghiera, ora di meditazione e talvolta di vita dei Santi aggiungendo essa discorsi edificanti sante esortazioni, insegnando ancora il modo di comportarsi con i genitori, con i Superiori ecc. eccetera.

Così a poco a poco crescendo il numero delle scolare si fondò da Paola, la scuola di carità in Mentana con tanto frutto e contento di quella popolazione che benediceva il Signore per averle mandato quella Santa giovinetta.





 


-->