CAPITOLO VIII-
Veggendosi Paola crescere e di corpo e di mente, conobbe se essere priva di quella educazione che meritatamente comparavasi alla sua condizione, siccome della prima famiglia di Moricone, e la madre essendole già morta da parecchi anni, ed il padre stando quasi di continuo fuori di casa, si vedeva abbandonata ad un'ignoranza che non le si addiceva. Conosciuto di essere mancante di ogni sapere, di lavori manuali, di lettere, e di condotta domestica, pensò di poter ripartirsi da Moricone e andare a Stazzano dove teneva la nonna ossia la madre della sua buona genitrice e, le zie sorelle di questa. Distando Stazzano un solo miglio da Moricone,fece risoluzione partirsì subito lo stesso giorno in cui fece tale pensiero, come diceva essa, le fu suggerito dal Signore; poiché sentì dirsi intimamente: vai da nonna, state con le le zie e impara l'educazione; così non saprai mai far cosa alcuna e non sarai mai donna. Acconsentì ella subito all'interno suggerimento, e detto alla sorella voler andare a Stazzano nel dopo pranzo, chiese al fratello maggiore Pietro Paolo che. allora era sugli undici anni, l'accornpagnasse. Questi per sollazzarsi per compagnia che farle favore 1' accompagnò. Entrata in casa e complimentata la nonna, si trattenne alquanto, e giunto il tempo di partire, il fratello la sollecitava a ritornare, ma essa fattasi animo così parlò: Nonna mia, se non v'è discaro, vorrei restare con voi alcuni giorni perché zia m'istruisse a cucire e a fare qualche altra cosa di casa: io non ho persona alcuna adatta ad insegnarmi queste cose che già nell'età in cui mi trovo dovrei sapere, ed aggiungendo qualche altra parola che potesse far breccia sull'animo di quella, presto le acconsentì: ottenuto quanto desiderava salì tosto all'appartamento superiore, dove abitava una sua zia chiamata Elisabetta, e dettole il consenso della nonna e la sua volontà, chiese a questa pure si facesse contenta d'istruirla in lavori e di ago e di ferri, dicendo essere affatto digiuna di ogni civile educazione; contentata nelle giuste ed oneste sue brame, scese dal fratello, e: -Va gli disse- ritorna solo, a casa, perché io resto; dì alla sorella che abbia pazienza se resto ad imparare, e quando ritorna Papà digli pure che io sto presso nonna e zia per lo stesso fine, che certo non gli spiacerà- Così se ne restò, ringraziando di tutto ciò il Signore per i consigli che le dava sì ottimi interiori consigli. Dimorò un anno intero a Stazzano presso quei parenti dove subito si applicò ai detti lavori di ago e di ferri, esercitandosi ancora a tutti gli uffici di casa in cui molto approfittò. Univa in se grande vergogna ed umiltà in conversare, sentiva grandissima vergogna con gli stessi suoi parenti, vivendo presso di loro come un'estranea raccolta per elemosina, talché tenendo così in freno la libertà della quale non ne faceva punto uso in ogni benché piccola cosa si teneva ritiratissima e sollecita ad ogni comando. - Io riconosco- diceva spesso- tutta grazia del Signore che sa così bene custodirmi; poiché avendo molte occasioni di peccare, potrei cadere in qualche sfrontatezza: Oh benedetta erubescenza e verecondia che per quel bene che a me portano, vorrei ogni giovinetta le possedesse che in un sol passo non vedrebbasi nel mondo tanta sfrontatezza nella gioventù!- Vedendola i parenti così attenta e modesta le posero grandissimo affetto, del quale già la favorivano anche prima, avendola ritenuta presso loro parecchie e altre volte per pochi giorni e da piccola, ma in quella occasione sì accrebbero e la riguardavano con particolare benevolenza. Oltre le oltre le opere esordienti di casa e di femminile lavori aveva ancora la cura dei figli di un'altra sua sia moglie cioè un fratello della sua madre e per tal fine dandole il Signore la sofferenza necessaria, perché piuttosto erano insolenti ed irrequieti, si affaticava per correggerli e moderarli; ma non andò guari che quelli si corressero ed affezionarono presto più a lei che alla propria madre, amavano e ricevevano obbedendole e rispettandola in ogni incontro. Ma il Signore, dirò così, compiacendosi tribolare i suoi cari, perché trionfando poi nelle avversità, che siano più diretti, piacque alla madre di quei fanciulli di veder Paola amata e rispettata tanto dai propri figli, mentre dovendone godere, anzichenò prese pel contrario, tantodio contro della meschina, che non potendola più vedere inventava calunnie che riferiva alla nonna ed è in parenti perché la levassero di casa e rimandata a Moricone; ma il tutto riusciva poi indarno che conoscendo quegli essere mere invenzioni e bugie, argomentate dalla notevolissima condotta di Paola, le accrebbero anzi l'amore e la benevolenza. Tali ingratitudini soffriva essa con santa rassegnazione, ne mai perciò disse o si lagnò seco lei e il tutto offriva al Signore in religioso silenzio. In questo frattempo mai tralasciò il fervoroso suo vivere che intrapreso aveva in Moricone, ed attirava a se e con l'esempio e con le parole altre giovanette di Stazzano per fare seco lei orazioni e devozioni; si confessava spesso dal locale Arciprete, poco conversava se non quelle buone zitelle che chiamava al modo suo di vivere, dalle quali poi n'era corrisposta, con altrettanto affetto. Volle pure in quell'anno digiunare tutto l'Avvento e la Quaresima, avendone per forza ottenuta dai parenti la licenza, adducendole quelli che una ragazzetta tanto verde non avrebbe potuto reggere a tante penitenze e mortificazioni se non con discapito della salute: ma ottenuto e fatto l'intero digiuno con trionfo, fu ammirata e compassionata da tutti, e quando la dissuadevano con dirle pregiudicava al corpo, essa se ne rideva e rispondeva loro: non essere di bisogno accarezzare tanto il corpo nemico dell'anima. Ogni giorno viè più crescendole il desiderio di conoscere e amare Dio, era sommamente sollecitata di acquistare nuove cognizioni e sostenere le già acquisite, replicandole alle sue compagne in Chiesa e in casa a mo' di dottrina. Essendovi nella famiglia con cui abitava qualche distrazione, pure, come si esprimeva ella, per miracolo della grazia Divina mai si scompose del suo interno operare: il suo discorso mentale era continuo, e questo la distraeva dalle cose vane e frivole che spesso incontrava come in sentir vani discorsi, qualche mormorazione ed altre cose del mondo. Trovò pure chi la volesse mettere in malizia, ma essa accorgendosene con cattivi sgarbi e mal creanze fugava i suoi attentatori. Il nemico maligno pure invidioso a veder forte quel candido giglio tra tanti sterpi e spini cercò d'abbatterlo e con pestifero alito macchiarne il candore, ma riuscendo vano ogni diabolico sforzo, vedeva si più vegeto e rigoglioso spandere intorno odore d'ogni virtù Per vincere essa le tentazioni che in vari modi l'assalivano, faceva interni sforzi, e restava poi come abbattuta e percossa per timore di offendere Dio con il solo pensiero, e vedendola i parenti pallida, la interrogavano dolenti cosa le fosse avvenuto, cui rispondendo essa nulla soffrire, accarezzavano poi per rianimarla: altro che carezze, diceva in sé, e melliflue parole! Se non fosse quella interna voce e lume che che mi confortano, il mondo intero con quanto ha dì lusinghiero e di dolce non varrebbe sollevarmi dalle interne angustie che provo, essendo tutto opera divina che mi custodisce. Se avvertiva che qualcuno e in particolare quella zia che le avea dato in cura i figli, lavessero strapazzata, ella sentiva raddoppiarsi laffetto per essi, ed era costretta esternarlo nellatto stesso in cui era offesa: mai in quel tempo e nellavvenire ebbe a conoscere collera, avvegnaché non le mancassero occasioni, ma godendo il suo cuore piena tranquillità e pace, stavasi contenta in Dio felice nellavversità. Allorché poi aveva a trattare con i garzoni di casa, mai ancora li avesse fissati in volto, mai si fosse secoloro trattenuta in vani e i lunghi discorsi, mai avesse anche innocentemente riso alla loro presenza; ma ha ascoltato quel che chiedevano ed appresta quella cosa fosse loro occorsa con brevi e qualche volta sostenute parole li licenziava da sé:-E meglio - soleva dire essere tacciata di rustica che cortese con gli uomini. Quando usciva di casa per portarsi alla. Chiesa, sentivasi vacillare le ginocchia, e battere il cuore per timore d'incontrare uomini, e nonostante tanta gelosia del suo verginale candore che sul volto e in tutta la persona le appariva, un giovane nipote dell'Arcipte di Stazzano le sveva posti gli occhi sopra, e le mandò ambasciate amorose per un garzone di casa. Andò questo garzone dell'Arciprete a trovarla una mattina in casa, e sapete- le disse il nipote del mio padrone vi saluta- ed aggiungendo altre parole che la convenienza non permette su queste carte ripetere, stava da lei attendendo la risposta. Ad un simile parlare arrossendo Paola si turbò in prima, poi con il solo sguardo ed atteggiamento del volto spaventò il lenone, che fuggendo senza proferir parola, riferì il successo all'amatore che temerario lo stimò di nuovo insistere: ritornato costì dopo pochi giorni, ripeté le stesse dichiarazioni al nome dell'impertinente giovine, né ebbe terminato di lire che gli richiuse Paola la porta in faccia: neppur valse a far desistere l'immaginario amante che ognor più incalzando le rimandò, dopo qualche altro giorno, il servo. Uditolo essa:- Orbene - gli disse - se tu non cesserai di portarmi questi saluti e se quel giovane non attenderà ai fatti suoi, sappi che io sarò donna dei fatti tirare un archibugiata e stenderti morto, e non guardar mica che io sia ragazza,che saprò farlo e che mantengo la parola.- Non si creda però che il nipote dell'Arciprete desistesse dal più importunarla; ché di notte tempo radunando suonatori e portandosi sottosotto la finestra di Paola le faceva le così dette serenate, come usa farsi in queti paesi dagli amanti alle loro amate. Quanta fu la vergogna di Paola in dover sentire simili rumori di chitarre e tamburri con un fracasso per tutto il paese che faceva festa ed allegria sulle strade, cantando e saltando i villani dietro i suonatori! Non aveva più ardire di sortir di casa, più non parlava, non si inquietava, ma rivolta al suo caro Bene, inginocchiata avanti un Crocifisso nella sua camera: - Gesù mio diceva mentre di fuori si suonava - come mai sarà chio abbia ad amare gli uomini, non trovando altri che voi più caro, più bello, più amabile!- E prorompendo in pianti, sentì una notte una voce dirle:- non `temere, Paola, io sono teco.- Ripigliato così animo si quietò, quantunque che l'importuno continuasse le sue serenate, senz `ombra di amorosa corrisposta.. Pianse ella le parole pronunciate contro quel servo, le confessò e ne fece penitenza, e pregando il Signore la liberasse ancora da quelle impotunità, non passarono due mesi,A che il nipote dell'Arciprete, infermando gravemente mori. Tenendo poi Paola uno zio Arciprete in Mentana, la ricercò questi, per averla seco, come seguì compiuto un anno di sua dimora in Stazzano, lo vedremo nel capitolo seguente. |