CAPITOLO IV-
Confessata Paola, fu nella stessa sera del Sabato Santo alla casa dell’Arciprete insieme alle altre comunicante per avere ulteriori lumi ed istruzioni circa il ricevere il Sacramentato Signore della prossima mattina di Pasqua di Risurrezione, il quale ultimo congruo ammaestramento tanto l’innamorò, che altro ella non desiderò, se non il beato momento di unirsi al suo Gesù, quantunque, come essa diceva, si conoscesse indegna per i gravi peccati commessi. Per dare un’idea di questi gravi peccati, il maggiore che avesse fu di avere guasta la Quaresima nell’età di otto anni, con l’avere mangiato una piccola ciambella e un uovo nel venerdì santo. Così scrive essa:” Di nascosto mangiai un uovo e una ciambelletta, ma io non sapevo essere peccato mentre sentivo dire prossimo il termine della Quaresima, mancando un altro solo giorno. Mentre però mangiavo mi nacque il timore, sentendo un’intima voce che mi diceva: non mangiare, perché guasti la Quaresima, ed io a quella voce tralasciai di mangiare,. Non avendo consumata che metà di quella furtiva merenda.” Questo ed altri piccoli falli confessò ella con tanto dolore accompagnato da copiose lagrime e sospiri. Ritornata a casa, dopo la Dottrina, non volle mangiare cosa alcuna per rispetto al SS.mo Sacramento, che come bramava riceverlo, così voleva che lo stomaco fosse meno immondo per degnamente ricevere un tanto ospite. Sentivasi di tal modo commossa e in Dio concentrata, che più non conoscendo che vivesse, lasciava senza risposta chi l’interrogava, o rispondeva fuori di proposito passeggiando taciturna per la sala, o fissando gli occhi a terra come un simulacro. Si ritirò quindi in camera, e genuflettendosi in orazione, era costretta a alzarsi e camminare di tratto in tratto per la camera sfogando in sospiri e in lagrime di amore tant’era corrisposta dalla Divina Grazia, e provava in certi istanti, alcuni assaggi di divine dolcezze, e certe attrazioni, come ella si esprime, a Dio. Si .pose in letto per dormire, ma poco o nulla di sonno pigliò, Traendola il costante pensiero a comunicare col suo Gesù, e provandone soavità, così ella scrive, da non potersi esprimere. Datosi il segno dell’Ave Maria del giorno, eccola là già palpitante balzare dal letto, decentemente vestita, eccola sulla strada ancor bruna dalle ombre della notte, ed entrata in Chiesa, fatta profonda riverenza al Santissimo Sacramento, e fissi gli occhi al Sacro Tabernacolo, s’avanza, ed inginocchiatosi in un cantuccio, andava divertendo lo spirito finché la lingua in nello dare il Signore con brevi giaculatorie, aspirazioni che le erano state suggerite ed insegnate a proposito dal buon Arciprete, finché associatasi alle altre comunicande che di tratto in tratto venivano, incominciavano assieme l’intercessione di Maria, dei loro santi avvocati e dell’Angelo Custode, perché loro impetrassero quei lumi. Necessari per poter degnamente, far ATTI di Fede, d’umiltà e d’Amore che debbonsi premettere ad una Santa Comunione. Chiese poi di riconciliarsi con il Confessore e l’ottenne. Finalmente venuta l’ora della sacra funzione, si portò processionalmente con le altre e si pose nell’ultimo posto nella balaustra, perché si considerava la più indegna, e perché in quel cantuccio poteva a pìu agio intrattenersi in santi colloqui. Tutto il tempo della Messa l’impiegò in santi affetti ed in colloqui con la Vergine, perché le mondasse il cuore per ricevere degnamente l’unigenito suo Figlio. Giunto il momento della Comunione, ecco le sue proprie parole: Mentre il Sacerdote diceva: “ECCE ÀGNUS DEI! ECCE QUI TOLLIT PECCATA MUNDI ecc., tenendo la sacra Pisside in mano, alzando io gli occhi, vidi quel sacro Vaso circondato dì luce che abbagliava, e Sentì il cuor mio lanciarsi quasi spostandosi dal suo luogo. Smaniavo io ed aspettavo che presto venisse a me il Signore, e facendo inviti amorosi, si avvicinò al Sacerdote, dopo comunicate le altre, ed alzando io gli occhi, vidi nelle di lui mani un vezzoso Bambinello circondato da luce, che sorridente e festoso mi guardava, ed aprendo Oh! La bocca, quasi in rapimento lo ricevei nel mio petto. Non sa qui ridire l’anima mia il gaudio, che nello stringerlo provò. In quell’atto mi sentii legata a e stretta dal suo amore, e con tutto l’affetto si gli dicevo: “Oh! Quanto siete caro mio Gesù! E voi vi siete degnato di venire dentro questo mio cuore sì povero e macchiato? Voi ripulitelo ed abbellitelo, e da me non vi ripartite più. Io sarò tutta vostra per l’avvenire, e Voi sarete tutto mio: io sarò vostra sposa per sempre, e Voi in eterno Sposo mio: oh! Bello, oh! Quanto siete bello! E chi non vi amerà? Sentivo rispondermi interiormente: se continuerai ad amarmi, io sempre sarò tuo, e se mi accetterai per Sposo, sempre sarà con te la mia grazia. Io bramo farmi santa, rispondevo io, e vi prometto Signore, di far come fecero tante vostre serve, se mi aiuterete, e la risposta che avevo, era: Ed io ti assisterò. Questi vezzi interni fra Gesù e l’anima mia, furono ben maggiori di quelli ch’io ora rammento, ne posso abbastanza spiegare i dolci deliqui d’amore, e il gaudio che sperimentò il cuor mio in quei divini amplessi.Io non volevo partirmi, amando restarmene in Chiesa, ma suonato il mezzo giorno, Gesù mio, dicevo, io parto ma Voi non vi partite da me, venite meco, e conviviamo assieme, e Gesù intimamente mi diceva che mi avrebbe seguito. Oh! Meraviglie di un Dio, quanto sia sviscerato verso l’anima che lo cerca, e carne si sollazzi nella semplicità delle sue delle sue creature! Parlavo io in quell’età con Gesù familiarmente come fosse stato il mio confidente, eppure mi corrispondeva! Eppure si compiacque di comunicarsi a me ignorante che non conosceva tutti i suoi attributi, la sua grandezza, la sua immensità e Onnipotenza |